Le quattro cose (positive) che gli europei possono aspettarsi dal Qe di Draghi

Marco Valerio Lo Prete

“Se nascerà l’Unione monetaria, come adesso sembra essere sempre più probabile, essa cambierà il carattere politico dell’Europa in una maniera tale che potrebbe generare conflitti all’interno dell’Europa stessa e scontri con gli Stati Uniti”. Così scriveva nel 1997 sulla rivista Foreign Affairs Martin Feldstein.

    Oggi è andata in onda su Radio Radicale "Oikonomìa, alle radici del dibattito economico contemporaneo", mini rubrica in pillole. Di seguito il testo della puntata, qui invece l'audio (dura soltanto 5 minuti!). Sono ben accetti idee, consigli e critiche (scrivere a [email protected])

     

    “Se nascerà l’Unione monetaria, come adesso sembra essere sempre più probabile, essa cambierà il carattere politico dell’Europa in una maniera tale che potrebbe generare conflitti all’interno dell’Europa stessa e scontri con gli Stati Uniti”. Così scriveva nel 1997 sulla rivista Foreign Affairs Martin Feldstein, noto economista americano, professore ad Harvard e oggi presidente emerito del National Bureau of Economic research statunitense. Lo stesso Feldstein, negli anni, è più volte tornato sulle ragioni che lo spingevano a tali conclusioni: “Le monete uniche richiedono che tutti i paesi nell’unione monetaria abbiano la stessa politica monetaria e lo stesso tasso d’interesse di fondo, con tassi d’interesse che differiscono fra i debitori soltanto in base alle differenze percepite nel rischio di credito – ha scritto su Foreign Affairs nel 2012 – Una moneta unica vuol dire anche un tasso di cambio fisso all’interno dell’Unione monetaria e lo stesso tasso di cambio relativo rispetto a tutte le altre valute, anche quando singoli paesi nell’Unione monetaria beneficerebbero in teoria da cambiamenti relativi di questo tasso. Gli economisti hanno spiegato che l’euro avrebbe portato a maggiori fluttuazioni nella produzione di ricchezza e nell’occupazione, a un aggiustamento molto più lento a fronte di cali della domanda aggregata, a squilibri commerciali persistenti tra l’Europa e il resto del mondo. Effettivamente, tutti questi risultati negativi si sono realizzati negli anni recenti. Ecco il perché: quando un paese ha la sua politica monetaria, può rispondere a un declino della domanda abbassando i tassi d’interesse per stimolare l’attività economica. Tuttavia la Banca centrale europea deve decidere la sua politica monetaria basandosi sulla condizione complessiva di tutti i paesi nell’Unione monetaria”. Nonostante tanto scetticismo sul progetto complessivo dell’integrazione monetaria, recentemente lo stesso Feldstein ha sostenuto che “un forte deprezzamento del cambio dell’euro funzionerebbe come rimedio di molti dei problemi dell’Eurozona”.

     

    Proprio la manipolazione del cambio è uno dei principali canali attraverso cui Mario Draghi, presidente della Bce, ritiene di poter influenzare positivamente la congiuntura economica e invertire il vento deflazionistico che spira sull’Europa. Vediamo perché, ma innanzitutto partiamo dalle decisioni annunciate la scorsa settimana. La Bce, da marzo, avvierà le politiche di Quantitative easing, o Qe o allentamento quantitativo, acquistando asset (principalmente titoli di stato) per 60 miliardi di euro al mese fino al settembre 2015, o comunque fino a quando l’inflazione non tornerà vicino all’obiettivo statutario di Francoforte, cioè vicino il 2%. I mercati, come anche buona parte degli analisti, hanno salutato positivamente questo annuncio. Ecco infatti i modi in cui tale scelta potrebbe puntellare l’economia dell’Eurozona.

     

    1. Innanzitutto l’impegno della Bce per un’inflazione più alta potrebbe mutare le aspettative di consumatori e investitori che ultimamente si attendevano per il futuro un periodo prolungato di prezzi piuttosto freddi, cioè tendenzialmente al ribasso, con gli annessi effetti depressivi su domanda e investimenti, accompagnati dall’appesantimento del fardello debitorio.

     

    2. Draghi poi, in conferenza stampa, ha detto che il Qe avrà effetto attraverso il canale della liquidità bancaria. Ecco come lo ha spiegato lo stesso banchiere centrale: “Essenzialmente tu (Banca centrale) sostituisci i bond (in pancia alle banche) con il cash, e così le banche, a quel punto, avranno maggiori incentivi a prestare al settore privato, consumatori e imprese”. Sempre a proposito di effetti finanziari, è stato detto più volte che il Qe americano, attraverso l’acquisto di bond statali a lungo termine emessi dal Tesoro americano, ha abbassato i rendimenti di questi bond, spingendo gli investitori a cercare maggiori opportunità di guadagno in altre attività più rischiose, così spingendo Borsa ed economia. Questo effetto, chiamato di “ricomposizione del portafoglio degli investitori”, potrebbe replicarsi anche in Europa. Ma in un’economia fortemente banco-centrica come quella europea, le attività più rischiose su cui riversarsi potrebbero essere troppo poche.

     

    3. Un ulteriore effetto potrebbe essere quello di allentare il vincolo di bilancio dei governi. I rendimenti sui titoli di stato si potrebbero infatti abbassare ancora un po’, anche se già sono tornati ai livelli pre crisi. Come ha scritto l’economista Guido Tabellini sul Sole 24 Ore, il Qe “sostituisce debito pubblico in circolazione (una passività dello Stato) con moneta (che per definizione non deve essere rimborsata). (…) I governi dell’area euro potrebbero quindi aumentare temporaneamente il disavanzo fiscale, senza per questo peggiorare la sostenibilità del loro debito. Ma questo difficilmente accadrà – conclude il professore della Bocconi – perché il coordinamento della politica fiscale e monetaria nell’area euro è un tabù ancora insuperabile”. 

     

    4. Infine, come auspicato da Feldstein, la maggiore spinta anti-deflazionistica potrebbe venire dal deprezzamento del cambio dell’euro rispetto al dollaro e alle altre valute. Un euro più debole – questo l’argomento dell’economista americano – aumenterà i costi delle importazioni, spingendo all’insù il tasso d’inflazione dell’Eurozona. La svalutazione poi sosterrebbe il Pil dell’Eurozona stimolando le esportazioni e incoraggiando gli Europei a sostituire beni e servizi prodotti nell’area invece che importarli. Considerato che ancora lo scorso maggio con un euro potevi acquistare 1,4 dollari, e che oggi invece con un euro non puoi comprare nemmeno 1,1 dollari, la manipolazione del cambio è in corso, anche se Draghi non può ammetterlo.

     

    Qui le puntate precedenti di "Oikonomia":
     

    Quello che il tasso di disoccupazione non dice. La lezione di Bastiat

     

    Le mosse anti deflazione di Draghi nelle intuizioni di Irving Fisher

     

    Ernesto Rossi, la governante di Calamandrei e l'Articolo 18

     

    Joseph Stiglitz, il sovraffollamento delle carceri e il profitto "costituzionale"

     

    L'Europa, l'economia sociale di mercato che piace a Merkel e qualche aporìa

     

    La concertazione, questione di (scarsa) competitività e democrazia, dice il Nobel Phelps

     

    Henry Ford, la contrattazione aziendale e il modello tedesco di "produttività"

     

    La Legge di Wagner e l'idea pazza che le Regioni non possano ridurre la spesa

     

    Non è questione di decimali. Tocqueville e la crisi dell'euro vista dall'America

     

    La premonizione "giapponese" di Bernanke e l'arma del Quantitative easing

     

    Tutti quei balzelli sui risparmi nella Legge di stabilità e la "repressione finanziaria"

     

    Renzi, quel problemino chiamato "recessione" e il pressing del G20

     

    Ecco come Renzi ha convinto l'Europa (c'entra "l'illusione finanziaria")

     

    Le liberalizzazioni convengono. Parola di Cesare Beccaria

     

    La Terra di Mezzo e la Public choice all'amatriciana

     

    L'euro in preda a una nuova crisi di fiducia. Memento Karl Otto Pöhl

     

    Il "soft power" americano, tra successi cubani e fallimenti al Fmi

     

    Siamo tutti statali a nostra insaputa. Reagan e il Jobs Act