I primati dell'isola poco sobria che ospiterà Monti e la Davos asiatica

Michele Masneri

L'ultimo appuntamento cinese del presidente del Consiglio, Mario Monti, avverrà in uno scenario da “Paradiso amaro”, il film di Alexander Payne che mostra un George Clooney alle prese con la speculazione edilizia nelle native Hawaii

    L'ultimo appuntamento cinese del presidente del Consiglio, Mario Monti, avverrà in uno scenario da “Paradiso amaro”, il film di Alexander Payne che mostra un George Clooney alle prese con la speculazione edilizia nelle native Hawaii. Monti infatti prima di ripartire per Roma presenzierà lunedì mattina all'apertura del “Boao Forum for Asia”, una sorta di Davos del Pacifico. Quest'anno il tema dei lavori è lo sviluppo sostenibile, e Monti incrocerà personaggi come l'ex ministro del Tesoro americano Henry Paulson, il nobel per l'Economia Edmund Phelps e John Chambers, il “signore dei rating” di Standard & Poor's. Lo sviluppo sostenibile è un tema direttamente legato al luogo in cui si svolge il forum, l'isola di Hainan, che rappresenta la costante scommessa cinese sulla crescita, e insieme le sue contraddizioni.

    Hainan, grande quanto il Belgio, nell'estremo sud del paese, affacciata sul mar della Cina e alla stessa latitudine delle Hawaii, per millenni è stato un luogo dimenticato da Dio, famoso soprattutto per la presenza del gibbone locale, e come luogo di confino a partire dal 900 d.C. per funzionari sgraditi all'impero (e poi alla Repubblica). Ma a partire dalla fine degli anni 70, Deng Xiaoping decise di farne una “tigre asiatica” istituendo una zona franca, in modo da far concorrenza a Taiwan: con esenzioni fiscali, assenza di tasse doganali su esportazioni e importazioni, e regime speciale per il trattamento dei lavoratori. Il risultato fu un boom senza precedenti: nel 1992 Hainan registrò i tassi di crescita più alti di tutta la Cina, con un incredibile ascesa del pil del 41,5 per cento; nel 1993 affluirono 4,19 miliardi di dollari provenienti soprattutto da Hong Kong, Gran Bretagna, Taiwan e Stati Uniti. Contro le speranze di Deng, però, i capitali non vennero investiti in industrie locali ma soltanto nell'immobiliare. I prezzi al metro quadro salirono da 300 yuan del 1989 ai 7.500 del 1992. Quando nel 1993 la Banca centrale cinese impose una stretta creditizia, per raffreddare l'inflazione, i prezzi ad Hainan crollarono del 600 per cento a 1.000 yuan al metro. Gli investimenti esteri scesero a 278 milioni di dollari, i cantieri vennero chiusi, molti stranieri si ritrovarono con un pezzo di carta in mano.

    Hainan è un caso di scuola per chi studia le bolle immobiliari: in quel caso non vi fu contagio, perché il governo impose semplicemente alle banche di cancellare i debiti inesigibili. Inoltre, i tassi di crescita del mercato immobiliare cinese, molto differenti da città a città, permisero – e dovrebbero permettere anche oggi, in caso di una nuova bolla, che molti temono – che la crisi rientrasse in maniera più o meno fisiologica. Adesso, dopo una decina d'anni di cantieri abbandonati, l'isola è rinata, è stata riconvertita al turismo di lusso, con hotel a 5 stelle, isolotti artificiali tipo Dubai e campi da golf. A gennaio si è svolto il festival internazionale di surf, mentre da anni si tengono anche le finali di Miss Mondo.