(foto Ap)

diario da cannes

L'inferno del Festival di Cannes

Mariarosa Mancuso

La sveglia alle sei e mezza, le prenotazioni per i film che finiscono in pochi minuti, le code ovunque. Peccato duri solo dodici giorni l'anno

La sveglia suona alle sei e mezza. Serve un caffé prima di prenotare (dopo la prima settimana, garantisce Libération, svegliano anche le patatine avanzate nel sacchetto). Un gioco di incastri, astuzia, rapida esecuzione. I film che vuoi o devi vedere – non coincidono – sono già completi alle sette e cinque. Le prenotazioni erano partite alle sette. Ripiego: prenotare due proiezioni, entrambe a orari impossibili, sperando nelle rinunce. Dalla proiezione anticipata per i giornaloni siamo esclusi – per questo abbiamo un giorno di ritardo sulla tabella di marcia. Quindi, in fila per entrare nelle sale.

Il biglietto non garantisce i posti, salvo nei casi in cui costringe nelle prime tre file sotto lo schermo gigante. A pranzo, qualche patatina avanzata dalla colazione salva la vita. Fila nei ristoranti. Fila davanti ai chioschi. Il supermercatino gestito da “l’arabe du quartier” (citiamo un romanzo di Éric-Emmanuel Schmitt) è affollato di americani con la camicia a maniche corte. Capito che dopo le dieci di sera non si vende più birra, fanno la scorta.

Altra fila per il film. Con i biglietti, se esci dopo un’ora di caprette (a noi provocano isteria) ti puoi infilare in un’altra sala. Di pomeriggio, mentre stai gelando per l’aria condizionata e la stanchezza, arrivano gli smoking, gli abiti da sera, i tacchi a precipizio. Alle dieci l’ultimo film, sperando nell’ultimo caffé. Una vita d’inferno, purtroppo dura solo dodici giorni l’anno.

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