(foto Ansa)

Cannes 2024

Cena col morto. A Cannes "The Shrouds" di David Cronenberg

Mariarosa Mancuso

E poi "Anora" di Sean Baker, "Grand Tour" di Miguel Gomes e "Viet e Nam" di Truong Minh Quy. Gli ultimi sviluppi dal Festival francese

Arriva l’ultimo dei venerati maestri che quest’anno il festival di Cannes ha invitato (non è chiaro se per rispetto o per volontà di puntare sull’usato sicuro). David Cronenberg è più vicino alla morte, non per età ma perché il film si intitola “The Shrouds”: lenzuoli funebri, o sudari, che avvolgono le salme. L’inventore del body horror (a Cannes molto praticato, si sono prestate anche Demi Moore e Margaret Qualley in “The Substance”, adorato o detestato senza vie di mezzo) sceglie come sua controfigura Vincent Cassel, e risparmia sulle attrici: i tre ruoli femminili sono affidati a Diane Kruger). Un vedovo inconsolabile inventa un cimitero che funziona come un macabro Grande Fratello. Un’app e puoi vedere il congiunto che si decompone in diretta dalla tomba. Libération, che non se ne lascia scappare una, ha intitolato la recensione “rôle decomposition”  (per “rôle de composition”, staccato, i francesi intendono un ruolo dove fatichiamo a riconoscere l’attore). “GraveTech” è il nome della ditta. Vicino al cimitero tecnologico ha aperto un ristorante. Non il massimo, per un primo appuntamento, ma il vedovo sceglie il ristorante per un appuntamento combinato. Chiacchiere di circostanza, poi la prescelta (non ancora confermata) rifiuta di ammirare la decomposizione della consorte precedente. Cosa che il vedovo predilige, anche se lei si presenta con un seno solo, senza un braccio e – tenetevi! – il femore si frattura nei trasporti amorosi, con un bel “crac”.

Appena nel programma finisce una commedia – come “Anora” di Sean Baker – conquista subito un punteggio alto nella griglia che confronta i voti dei critici internazionali. Uno squillante 3.3 su un massimo di 4 punti che equivalgono a “eccellente”. Per fare un confronto, il film sul giovane Trump di Ali Abbasi si ferma a 1.7; “Parthenope” di Paolo Sorrentino a 1.6. Il critico di Le Monde, che dichiara “Anora” meritevole di Palma d’oro, dà alla napolitude il voto più basso, “bad”.
I Festival sempre privilegiano la tristezza, quella dichiarata (aborti e compravendite di bambini nella Danimarca di inizio secolo) o quella che deriva dai registi che deludono. Yorgos Lanthimos ci aveva illusi con “La favorita” e con “Povere creature!”, entrambi splendidi, per poi tornare al suo sceneggiatore greco (speriamo solo sia il bacio d’addio) e a “Kind of Kindness”: tre episodi con gli stessi attori, inconcludenti come “The Lobster” o “Il sacrificio del cervo sacro” – film che solo a ricordarli viene una fitta al cuore.

Non abbiamo ancora visto tutti i titoli in gara per la Palma, la cerimonia di premiazione sarà sabato sera. Ma è arrivato l’esotismo. “Grand Tour” del portoghese Miguel Gomes segue le tracce di un promesso sposo che viaggia in Asia per sfuggire a Molly, la sposa promessa. A Rangoon, il piccolo funzionario britannico si nasconde quando la nave arriva da Londra. Dopo sette anni di fidanzamento Molly vuole concludere, ma lui non è convinto. Scappa a Bangkok, Saigon, Manila, Osaka (dove lo credono una spia). Riparte per Shanghai e arriva in Tibet: tutto in bianco e nero, ricostruzioni in studio alternate a foto d’epoca. L’avventurosa Molly che lo segue con qualche giorno di ritardo. Lo spettatore sbadiglia. Poi dorme, e sogna Graham Greene.
Viet e Nam – nel film con lo stesso titolo di Truong Minh Quy – sono due minatori ventenni, ogni tanto si nascondono nei cunicoli per baciarsi. Sì, anche il Vietnam ha i suoi amanti gay. Nam vuole emigrare in Europa, e si allena per nascondersi in una nave porta container. Viet ha il cuore spezzato. Come la madre di Nam che cerca ancora i resti del marito morto in guerra.

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