Fino a pochi anni fa era l’underdog di Hollywood. Oggi detta legge in fatto di Oscar. A24, la Hbo del cinema indipendente americano, arriva favoritissima a questa edizione sbaragliando tutti con una valanga di candidature sparse qui e là, su cui svettano “The Whale”, con Brendan Fraser in duecento chili di carne probabile miglior attore, e “Everything, Everywhere, All at Once”, titolo à la Wertmüller, plot psichedelico, dato in quota miglior film, nonostante Spielberg, “Top Gun”, “Avatar”. Vedremo. Per noi boomer A24 è più che altro l’autostrada Roma-Teramo (uscita 14 del Gra) con svincolo per l’Aquila, ma è proprio qui che un’estate di dieci anni fa, mentre era in vacanza in Italia, guidando tra Vicovaro-Mandela e Tagliacozzo, un impiegato al Guggenheim di New York, Daniel Katz, ebbe l’idea, la folgorazione, trovò il nome di quello che sarebbe diventato il marchio cinephile venerato dai millennial. Come Guzzanti in “Boris”, quando raccontava di aver visto Gesù in una piazzola della Roma-L’Aquila, per Katz fu un’epifania: ma certo, la chiameremo A24! Oggi è un brand distintivo, come Apple, Netflix, Starbucks, Walmart, con un logo acchiappa-millennial che ricorda molto quello di TikTok: neon, font, lettering, l’hipsterissimo “effetto glitch”, l’immagine sfocata che è anche un tributo all’estetica video anni Ottanta, un po’ Warhol, un po’ Mario Bros.
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