(foto Ansa)

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"La mia Marylin non è originale, ma il mondo ha ancora bisogno di lei". Parla il regista di Blonde

Giuseppe Fantasia

"Su di lei si sono scritte per lo più fantasie. E in parte anche questo film lo è", ci dice Andrew Dominik, che ha presentato la pellicola sulla diva di Hollywood al festival di Venezia

Basta pronunciare il suo nome, Marilyn Monroe, o semplicemente Marilyn, che si apre un mondo fatto di eccessi, successi, incomprensioni, pillole, sesso, soprusi, misteri e altri eccessi. Su colei che è stata ed è una singolare icona della cultura pop di Hollywood, capace di trascendere le generazioni e la storia, è stato scritto, filmato, detto e fatto di tutto, dal cinema alla tv, dai libri a interi festival. Perché, dunque, continuare a raccontarla? “Perché è stata ed è la dea americana dell’amore, una sorte di Afrodite”, spiega al Foglio il regista Andrew Dominik senza pensarci più di tanto. È arrivato giovedì alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per presentare il suo nuovo film, Blonde, il ritratto senza censure della Monroe interpretato da Ana de Armas.

 

“Norma (il regista la chiama così, con il suo vero nome: Norma Jeane Baker, ndr) aveva tantissimi sentimenti e noi l’abbiamo rappresentata come era, come una donna che non si sentiva capita ed è per questo che molte donne hanno sempre avuto un certo feeling con lei, perché rappresenta ognuna di loro che è incompresa. È stata un grande personaggio e la sua morte creò un grande clamore, perché era bella, era ricca e aveva successo in tutto il mondo. Abbiamo ancora bisogno di lei – aggiunge – perché continua ad essere l’oggetto del desiderio. Quando accade una cosa del genere, è sempre pericoloso, perché spesso, personaggi che rappresentano un’icona, sono in realtà dei contenitori di forme di autodistruzione. Essere famosi è come subentrare nell’inconscio degli altri e in tali casi, le persone interagiscono con la fantasia che hanno di te”.

 

Il film – prodotto dalla Plan B di Brad Pitt (arrivato a sorpresa al Lido) e da Netflix, dove si potrà vedere dal 28 settembre prossimo - contiene scene forti e violente. C’è l'abuso che subì da un produttore all'inizio della carriera (“all’epoca non c’era il MeToo, precisa il regista, e se ci fosse stato tutto sarebbe andato diversamente”), al sesso orale con il presidente Kennedy, "carne in consegna", dice lei ai bodyguard. Il presidente la aspetta sul letto e mentre parla al telefono, rifiutando di dare ascolto al consigliere con cui discute della sua condotta sessuale che mette in imbarazzo l'America, incita l'attrice al sesso orale con immagini in primo piano sulla bocca in movimento di lei, fino al godimento finale. “Ho scelto di girare quelle scene dure, ma non sono niente né a favore né contro Kennedy, perché il mio film vuole mostrare il suo punto di vista. Quello che si crea è un rapporto forte tra lei e lo spettatore: siamo gli unici che la capiamo e nessun altro. Non credo che il mio film sia originale. La maggior parte dei materiali scritti su di lei non sono originali, sono per lo più fantasie che mirano a salvarla. Nel fare questo film ho capito l’intenzione di quelle opere che contengono tutte la considerazione che ‘se fossi stato lì presente, si sarebbe salvata’. In tal senso, non mi sembra che Blonde sia molto diverso, anzi”. 

 

Blonde – che ha nel cast anche Adrien Brody, Bobby Cannavale, Xavier Samuel, Julianne Nicholson e Lily Fisher – è tratto dall’omonimo libro di Joyce Carol Oates, pubblicato da La nave di Teseo. “Non ci si siamo mai incontrati fisicamente, anche perché ha quasi 90 anni, abbiamo parlato solo alcune volte a telefono. Non ho un rapporto particolare con lei, ma comunque, la rispetto, perché è una grande scrittrice”. Il film, preceduto dalle polemiche sull’accento della protagonista, mostra i momenti salienti della sua vita, dalle sue umili origini alla consacrazione definitiva della super star hollywoodiana. Sulle polemiche, il regista glissa, e ci racconta invece che il rapporto con la persona e il personaggio sul set è stato molto forte. “Ana aveva un mélange delle cose che aveva Marilyn. Siamo andati insieme sulla sua tomba, abbiamo fatto le riprese nella casa e nella stanza in cui è morta. È stata davvero forte la sensazione della sua presenza. Alla fine delle riprese, mi sono sdraiato sul suo letto provando la sensazione della sua profonda disperazione. Mi piace la fantasia della donna che mi porto dentro, l’anima che, secondo i freudiani, è diversa dalla persona reale”. 

La cosa assurda, continua, è che tanti, troppi, hanno detto o dicono cose su di lei senza averla neanche mai incontrata. In realtà, l’unico che potrebbe dire delle cose vere su di lei è solo Truman Capote che in A beautiful child la descrive in maniera straordinaria”. Dominik non è poi convinto dell’omicidio, ma che la diva sia morta in realtà “per overdose accidentale di farmaci”, “nell’averlo fatto in maniera disattenta”. “Potrei dilungarmi ma non lo faccio”. Se Marilyn fosse viva oggi sarebbe una influencer, gli chiediamo prima di andare via. “Questo oggi non importa, perché lei non e viva, è morta e non vive più in questo mondo che è l’unico che abbiamo, un mondo crudele che non ha saputo prendersi sufficientemente cura di lei e conservarla nel migliore dei modi possibili. Certo, avrebbe avuto un’influenza diversa se fosse stata in vita, ma purtroppo non è così”. 

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