Elio Germano (al centro), con Fabio e Damiano D'Innocenzo a Venezia 

La pandemia, la vulnerabilità, il cinema. "E al Quirinale vorrei una donna". Parla Elio Germano

Giuseppe Fantasia

"I film si sono sempre fatti, persino durante la guerra", dice l'attore, che ci racconta la collaborazione con i fratelli D'Innocenzo nel loro nuovo lavoro, "America Latina". "Un viaggio appassionante: ogni giorno ci si dava appuntamento sul set per scoprire qualcosa di nuovo”

Per tutta la durata del nostro incontro, avvenuto per ovvi motivi via Zoom, Elio Germano non usa mai i termini “Covid” o “pandemia” – fin troppo abusati da due anni a questa parte – ma preferisce parlarci di “questa cosa che ci sta attraversando”, “una cosa che ci fa preoccupare e restare continuamente sull’attenti, ma che non deve stravolgerci”. “L’essere umano – aggiunge - si adatta più di qualunque altro a tutto senza mai perdere la capacità di restare vivo. L’artista, poi, è un artista e assorbe le cose suo malgrado”. “Il teatro, i concerti dal vivo e lo stadio – aggiunge – continueranno ad avere il loro valore che è unico. Più siamo distanti gli uni dagli altri, più sentiremo il bisogno di quel tipo di esperienza collettiva. Il cinema, invece, è attentato da altri schermi che sono ovunque e si sta trasformando sempre di più in un'esperienza individuale. Non dimentichiamoci, però, che i film si sono sempre fatti, persino durante la guerra, e noi in Italia lo sappiamo bene. Le cose che accadono ci sono sempre state e nel mondo – di continuo – ci sono stragi di tanti colori e di tanti tipi, ma ora è diverso. Per la prima volta viviamo una situazione che ci riguarda tutti, una di quelle in cui abbiamo imparato a sentire il dolore degli altri anche quando non ci riguarda. Non si può continuare a vivere ‘riparati’ da quello che succede attorno a noi, anche se facciamo di tutto per non pensarci e dimenticarcene”.

 

Romano, 41 anni compiuti lo scorso settembre, tanti premi e diverse nomination ricevute da Cannes a Berlino e una filmografia che spazia dalla commedia (con i Vanzina) al cinema d’autore (con Mario Martone, Giorgio Diritti e Gianni Amelio, con cui ha appena finito di girare Il signore delle formiche), si racconta al Foglio a pochi giorni dall’uscita in sala per Vision Distribution di America Latina, il nuovo, atteso, film dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Una storia di soffocamento e di claustrofobia realizzata con un linguaggio visivo attraverso il quale i due registi sono riusciti ad esprimere al meglio quelle sensazioni, tra emozioni altalenanti che attraggono, respingono, disturbano persino, mostrando un’umanità in caduta libera in cui nulla è come sembra. Un film che pone interrogativi senza risposta che disorientano e stordiscono, un dramma psicologico che spiazza, giocando tra luci e ombre, fantasmi e sentimenti, realtà e illusione.

  

     

Germano – che torna a lavorare con i due gemelli del cinema italiano dopo il successo di Favolacce - interpreta Massimo Sisti, un padre pacato e affettuoso, un marito attento e fedele, un dentista che conduce una vita serena, agiata e soddisfacente nella sua villa a Latina. Un giorno, scendendo nel seminterrato, fa una scoperta incredibile e terrificante al tempo stesso, che segnerà uno stravolgimento inaspettato nella sua vita e sancirà l’inizio della sua angosciosa discesa nell’incubo, fino alla pazzia. Arriverà al punto di non riconoscersi più, fino a sentirsi completamente smarrito in questa esistenza che non gli lascia via d’uscita. “Il mio – ci spiega - è un personaggio pieno di fantasmi e di incubi, è un uomo ferito, e la sua è la storia di una ferita che si allarga fino a diventare insopportabile. Fare questo film è stato un viaggio molto appassionante, perché, tra i tanti pregi che hanno i fratelli D’Innocenzo, ce n’è uno per me fondamentale: con loro non si lavora mai cercando dei termini dimostrativi, ma ogni giorno ci si dava appuntamento sul set insieme a tutti gli altri per il semplice piacere di scoprire qualcosa di nuovo e non soltanto per fare una performance o il compitino studiato a casa fino a poche ore prima”. Insieme hanno dato vita a un film sulla vulnerabilità dell’uomo, sulle paure, sul senso della famiglia, temi sempre molto cari ai due registi. “L’umanità è la vulnerabilità - dice Germano - e l’invulnerabilità è l’antiumano. La paura fa parte di noi e l’intensità della nostra vita è fatta di dolore e di piacere che convivono insieme. Questo dualismo c’è nei film di Fabio e Damiano e c’è anche in questo assieme alla capacità e alla grandezza di non aver paura di sbagliare mettendosi al servizio di un’esperienza collettiva. Il cinema, del resto, è frutto proprio di questa esperienza”.

 

    

America Latina mette al centro della scena un uomo e la sua crisi, che è poi la crisi del maschio contemporaneo. “Il patriarcato – continua l’attore - è l’ossessione che ha il maschio di dominare, ma nasce sempre da un suo senso di inferiorità nei confronti della donna che è la personificazione della natura. È attaccata alla terra e lo diventa ancora di più scegliendo di diventare madre. L’uomo, dal canto suo, ha sempre dovuto inventarsi tutte le malattie e scuse possibili per sentirsi parte di un mondo. Legato al possesso e agli averi, negli anni è entrato in crisi attraversando una forma di paura che è purtroppo degenerata in una violenza inaccettabile. Il suo è un essere ‘da meno’ che lo ha portato per troppo tempo a schiacciare la figura femminile. La società non ci ha aiutato, quella contemporanea forse un po’ di più visti i molti passi in avanti che sono stati fatti, per fortuna, in tal senso, ma c’è ancora molto da fare.

    

In ogni caso, però, mi dispiace vedere un femminismo che troppo spesso è diventato la peggiore intenzione dei modelli maschili, preferendo il cinismo e l’arroganza. Sono difetti che non vorrei più per l’umanità in genere. Basta distinzioni: sarebbe meglio pensare al bene collettivo. Ho sempre avuto una grande ammirazione per le donne – conclude prima di salutarci – e continuerò ad averla. È anche per questo che mi auguro che il nostro prossimo presidente della Repubblica sia una donna”. Perché? Gli chiediamo. “Perché mi fido di più delle donne al comando. La mia esperienza me lo insegna”.