Favolacce

Di Damiano e Fabio D’Innocenzo, con Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta (Sky Primafila Premiere, TimVision, Infinity, Chili, Google Play, Rakuten Tv, CG Digital)

 

Mariarosa Mancuso

La finta del manoscritto ritrovato funziona sempre bene, del resto son secoli che la riciclano. Bisogna riconoscere che in “Favolacce” (altro film nuovo di zecca dirottato in streaming per l’emergenza) la variazione è ingegnosa. Finge la continuazione del diario di una bambina, scritto con la penna verde e lasciato a metà (lo sguardo infantile sui grandi è sempre premiante, i bambini non smettono mai di guardarci, o almeno lo facevano prima di tenere gli occhi fissi sull’iPad-babysitter). Spiega la voce fuori campo: “Il film è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata”. Basta per confondere lo spettatore che ha sentito tanto parlare di “Favolacce”, dopo l’Orso d’argento vinto a Berlino per la sceneggiatura. I fratelli D’Innocenzo godono di ottima stampa, fin dal loro primo film “La terra dell’abbastanza”, con facce interessanti ma scarso di struttura. C’è pure chi non lo considera un difetto. Dal risvolto di copertina di un libro sul cinema annunciato da Marsilio – “Il corpo e lo sguardo”, già fa paura – abbiamo appena appreso che “le storie sono la secrezione dei personaggi e non viceversa”. Aiuto, abbiamo sempre pensato che le secrezioni appartenessero a un altro genere merceologico (e comunque di questi tempi potrebbero confondersi con i temutissimi droplet). Sono le storie intrecciate di tre famiglie, abbastanza male in arnese ma non sottoproletarie, si comprano la piscina gonfiabile e nella notte gliela bucano. Il sogno è Spinaceto, un lavoro da pizzettaro.

 

La sensualità percorre tutte le scene, caso più unico che raro nel cinema italiano che con i corpi è sempre un po’ a disagio, certi personaggi non esistono dal collo in giù. Ci sono le pagelline, ci sono le chiappe della donna incinta, ci sono le luci al neon che avvolgono i personaggi, ci sono dialoghi che perlomeno incuriosiscono e suonano realistici, ci sono i mostri e gli orchi e le strade buie che devono stare in una favola. I fratelli D’Innocenzo hanno occhio e hanno orecchio. Mancano di critici che abbiano voglia di cercare i precedenti. Certo che in Italia come loro non c’è nessuno. Ma fuori ci sono i film di Todd Solondz, da cui qualcosa hanno certamente imparato. Ora devono solo decidere se da grande vogliono fare i fratelli Taviani, i fratelli Dardenne oppure – mossa consigliatissima – svoltare verso i fratelli Coen.