
Amos Gitai (foto Ansa)
Venezia 2020
Una lezione sui diritti civili. E un chiodo sulla bara del cinema verità
Dall’America nera e dall’Italia. In mezzo il solito Amos Gitai
Venezia. Istruzioni per farsi da soli un film di Amos Gitai, israeliano che gira un film all’anno (la media non comprende le installazioni e altri lavori artistici, il teatro, l’insegnamento universitario). Sedersi in un bar di Haifa, con annessa galleria d’arte, a ridosso dei binari – in uso, il treno ogni tanto sferragliando transita. Filmare senza tagli le chiacchiere degli hipster che da lì transitano, per una birra o un corteggiamento. Magari un ricattino (a favore della causa palestinese) al ricco signore che già contribuisce alle mostre fotografiche organizzate dalla giovane consorte. Titolare “Laila in Haifa” – questa è la parte più facile, se non trovate una Laila cambiate il nome. Mandare a un festival, sperare in un premio (incredibile che ancora ci caschino). Non farsi vedere in giro quando gli spettatori escono dalla sala, furiosi.
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