Klaus e il ritorno al futuro dei film d'animazione

Se il nuovo film di Sergio Pablos è un concentrato di 2D e di disegni a mano, è perché non c’è niente, a oggi, di più innovativo

Gianmaria Tammaro

Dice Sergio Pablos, il regista di “Klaus”, che lui non vuole riportare l’animazione tradizionale alla ribalta: “Io voglio portarla avanti, nel futuro”. Se il suo nuovo film è un concentrato di 2D e di disegni a mano, è perché non c’è niente, a oggi, di più innovativo. Fa una cosa che, qualche settimana fa, ripeteva anche Brad Bird, geniale regista de “Il gigante di ferro”, “Gli Incredibili” e “Ratatouille”: “Mettere al centro la storia”.

  

La forma, che è una forma sofisticata, importante, decisamente passata in secondo piano con il boom della computer grafica e del 3D, è un più, un contorno, non l’anima stessa di “Klaus”. Conta altro, come il lavoro di squadra e la cura per i dettagli. E conta la visione di un autore, di un regista, papà di “Cattivissimo me”, veterano dell’animazione che ha lavorato a capolavori come “Hercules”, “Notre Dame” e “Il pianeta del tesoro”.

 

Quella che “Klaus” racconta è una storia di Natale, rivolta al pubblico più giovane (ma non solo). Per Netflix, rappresenta una dichiarazione d’intenti abbastanza chiara: siamo pronti a spendere, e siamo pronti a fidarci, fino in fondo, dei nostri autori. Non c’è un ragionamento a monte, sullo stile o sulla tecnica di animazione che verranno utilizzati. Netflix non ha commissionato un film in 2D. Ha commissionato un film. Pablos e i suoi, poi, hanno deciso come raccontarlo.

 

“Klaus” è, senza ombra di dubbio, un’eccezione nel mercato dell’animazione. Così come è un’eccezione “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” di Lorenzo Mattotti, vincitore della miglior regia ad Alice nella città: anche in questo caso, il 3D viene utilizzato solo quando è indispensabile, per dare profondità alle ambientazioni più ampie, e viene preferito il disegno a mano.

  

  

In comune, questi due film non hanno molto. Le storie sono diverse; i paesi di origine e i produttori sono diversi. Ma insieme, più che dimostrare un ritorno di una tecnica, sono la prova che non c’è un modo più o meno giusto di girare un film di animazione. Non ci sono tecniche nuove e tecniche vecchie. Si tratta, molto banalmente, di priorità e di quale tipo di lavoro si preferisce. E poi, come diceva sempre Bird, di rimettere al centro la storia. “Il rischio”, ha spiegato il regista, “è che affidandosi totalmente alla computer grafica ci si dimentichi della vera essenza di questo mestiere”.

 

In “Klaus” e ne “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” c’è una profonda conoscenza del mezzo e del linguaggio; la scelta di una determinata tecnica è stata maturata in modo intelligente e soprattutto in modo convinto, non solo sulla base di valutazioni economiche (lavorare al computer, con programmi ed algoritmi, costa decisamente meno di lavorare a mano, animando ogni singola scena, e richiede molto meno tempo). Questi due film e i loro autori incarnano un’idea e una visione precise di animazione: due cose che, è vero, sono tenute sempre meno in considerazione dai grandi studios e dai grandi player, ma che quando vengono valorizzate, come in questo caso, si rivelano essere una grande ricchezza.

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