Una scena di Hereditary

Certo cinema italiano fa talmente paura che è meglio criticarlo senza prima vederlo

Mariarosa Mancuso

Abbiamo applicato ai film nostrani il "metodo Rob Harvilla", che ha recensito un horror (troppo terrificante) a partire dalla sua pagina Wikipedia

“Hereditary” è l’horror dell’estate. Uscito venerdì scorso, a mezzanotte di domenica aveva incassato 13 milioni di dollari, lanciando Ari Aster nel paradiso dei registi e degli sceneggiatori che sanno fare i soldi. Puro terrore, dicono. E allora che fa un giovanotto fifone? Uno che non regge neppure “Black Mirror”, ha visto solo “San Junipero” per via del lieto fine. Non recensisce il film, ma la pagina di Wikipedia. Ammette che è come guardare l’eclissi con la scatola di cartone, ma ha inventato un genere. Siccome a noi il cinema italiano spaventa più dell’horror, confessiamo di avere applicato il metodo – senza sapere che avesse un copyright, l’articolo di Rob Harvilla era lunedì scorso sul sito The Ringer – alle trame che annunciano le novità. Perlopiù sono tratte dai pressbook per la stampa, quindi al netto di ogni malignità critica. Sono i registi medesimi a zappettarsi i piedi. Quando poi si arriva alla bassa stagione – questa – e compaiono nelle sale film mai sentiti, diretti da registi ignoti ma comunque da qualcuno approvati e finanziati, lo spavento cresce.

  

  

Florilegio. “Nobili bugie” cerca spettatori con questa modestissima proposta: “Due generazioni di nobili decaduti e nullafacenti, nel 1944. Ad accudirli sono rimasti la cuoca Giovanna, innamorata del giardiniere cieco Federico, e il tuttofare sordo Tommaso”. “Ulysses - A Dark Odyssey”, ambientato nel 2010 a Taurus City, 2020, propone un militare di carriera che “rientra dal fronte portando nel corpo e nell’anima i segni della guerra”. “Blue Kids” va di prosa lirica: “Fratello e sorella spendono la vita in un eterno presente. Insensibili alla morte della madre e ostili al padre, ricco imprenditore separato e risposato, vorrebbero andare via dalla provincia e dalla bruma del fiume ma i soldi che hanno bastano solo fino alla Svizzera”.

 

 

Uno di “Due piccoli italiani” è bloccato “nel ricordo di una mamma che pensa di poter ritrovare solo se potrà raggiungere l’Olanda” (sinceramente, non viene una gran voglia di conoscere l’altro piccolo italiano). “Macbeth Neo Film Opera” ricorda che il dramma scozzese porta sfiga, il coraggioso regista “ha più predecessori dei cadaveri che Macbeth ha lasciato sul campo di battaglia”. “Dei” ha per protagonista Martino, anni 17, in un casolare della Puglia tra “pecore galline e lavatrici dismesse”.

 

 

La guerra del maiale” svolge la tesi: non è vero che l’uomo con l’età diventi più buono e saggio (già si immaginano le folle accalcarsi fuori dai cinema). “Estate 1993” informa che “dentro Frida è annidato un dolore inespresso”. In “Peggio per me”, Francesco e Carlo invece di fare i compiti “sono alle prese con dei mangianastri creando divertenti ‘audioremix’ di televendite televisive e film per adulti”. Insomma, un nostrano “Stranger Things”. Abbiamo omesso i nomi dei registi per proteggere i colpevoli.

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