Registi e attori contro Raggi. Fine dell'amore tra cinema romano e M5s
Da Bertolucci a Sorrentino, passando per il direttore del Festival di Venezia Barbera, lettera aperta contro il vicesindaco Bergamo e la vicepresidente della commissione Cultura Guerrini in difesa del Cinema America
Roma. Ci mancava solo il cinema. Non bastavano l’emergenza rifiuti, il caos dei trasporti, le lotte intestine, le nomine allegre e gli scandali giudiziari. L’ultima grana della giunta capitolina di Virginia Raggi ha un copione da commedia dell’assurdo e un finale da thriller in cui il colpo di scena potrebbero essere le dimissioni del vicesindaco e assessore alla Crescita Culturale, Luca Bergamo. “Non in grado di comprendere, difendere e valorizzare il patrimonio culturale italiano e quindi di rappresentarlo”, recita l’atto d’accusa recapitato ieri in Campidoglio per chiedere le dimissioni di Bergamo e quelle della Vicepresidente della Commissione cultura, Gemma Guerrini.
Più che le parole, pesanti come macigni, a far notizia sono soprattutto le 66 firme messe in calce alla sfiducia pubblica da buona parte del gotha cinematografico italiano. Ci sono premi Oscar come Bernardo Bertolucci e Paolo Sorrentino. E poi registi pluripremiati in Italia e all’estero come Gianni Amelio, Francesca Archibugi, Dario Argento, Emanuele Crialese, Paolo Genovese, Gabriele Mainetti, Mario Martone, Gabriele Muccino, Ferzan Özpetek, Marco Tullio Giordana e Paolo Virzì, solo per citarne alcuni. E poi decine dei volti più noti del grande schermo, da Margherita Buy a Corrado Guzzanti, da Luigi Lo Cascio a Neri Marcorè fino a Luca Zingaretti e Checco Zalone. C’è addirittura la firma del direttore della Mostra internazionale d’arte Cinematografica di Venezia, Alberto Barbera. Abbastanza, insomma, per trasformare in polemica internazionale la battaglia tutta romana scatenata dalla decisione di “sfrattare” da piazza San Cosimato la fortunatissima kermesse cinematografica organizzata dai ragazzi del Cinema America, diventata uno degli appuntamenti più noti dell’estate romana, e mettere a bando l’uso della piazza trasteverina.
Fra accuse al veleno e minacce di querele, c’è voluta però l’entrata a gamba tesa della consigliera grillina e vicepresidente della Commissione Cultura Gemma Guerrini (en passant, residente in piazza San Cosimato e terribilmente preoccupata dal degrado di famiglie che assistono all’aperto alle proiezioni cinematografiche) a far scoppiare la guerra. Un lungo post su Facebook in cui, fra le altre cose, la consigliera denunciava come “manifestazioni simili siano funzionali alla propaganda del partito politico che le sostiene, in questo caso di quel Pd maestro nella manipolazione del consenso, che ormai da decenni utilizza la spettacolarizzazione e la feticizzazione della cultura come arma di distrazione di massa”. “Cos’è infatti se non feticismo – proseguiva Gemma Guerrini – la reiterata proiezione, giorno dopo giorno, di vecchi film che hanno in comune soltanto il fatto di essere famosi, con a seguire la presentazione degli altrettanto famosi produttori/registi/attori?”. Apriti cielo. “Le dichiarazioni della consigliera Gemma Guerrini dimostrano una palese inadeguatezza nel ricoprire il ruolo di Vicepresidente della Commissione Cultura di Roma Capitale ed inficiano gravemente la validità dell’azione politica dell’Assessorato alla Crescita Culturale – hanno scritto attori, registi e produttori cinematografici – Per questo pensiamo che sia necessario chiedere con forza le loro dimissioni”.
Il Cinema America e le parole della consigliera Guerrini diventano lo spunto utile per celebrare ufficialmente la fine di quella sorta di amore clandestino che una parte del mondo dello spettacolo romano (e non solo) ha coltivato per mesi con il Movimento 5 stelle e Virginia Raggi. Una corresponsione di amorosi sensi, consumata fra pubbliche dichiarazioni d’amore elettorali e privatissime confessioni di pentimento, che è durata ben poco e si è spenta con la progressiva desertificazione del panorama culturale romano, le nomine contestate (su tutte quella di Giorgio De Finis a guida del Macro) e i tristi segnali di abbandono. Come i ritardi nei lavori di ristrutturazione del Teatro Valle o i sigilli messi un anno fa al Teatro dell’Orologio per una banale questione, ignorata per mesi dal Campidoglio nonostante i ripetuti appelli e allarmi, di uscite di sicurezza.
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