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la riflessione

Esplodono con il vino le contraddizioni del km 0 in agricoltura

Antonio Pascale

Se c'è un settore in cui l'umana contraddizione a livello di sostenibilità raggiunge il suo apice è quello vinicolo. Perché siamo tutti per l'economia di prossimità, ma poi ci piace esportare Barolo fino in Perù

Qualora aveste voglia di iscrivervi a un corso accelerato sulla natura umana e sulle sue contraddizioni (fa fatica affrontarle), potrei suggerirvene uno: il km 0 in agricoltura, ci credono tutti, a destra e a sinistra. Da una parte potremmo dire: chi crede in maniera indefessa al km 0 ignora i complicati assetti geopolitici e poi vuole salvare il mondo dall’incessante e inquinante via vai delle merci. Oppure: ma perché non lo coltiviamo noi questo o quel prodotto? Abbiamo tutto, sole, acqua, aria pulita, materia prima, mare monti, quindi che ci vuole? Sì, è vero, ma credo che la difesa del km 0 non nasca da ragionamenti molto sofisticati, è solo una manifestazione dell’egoismo che ci caratterizza e che, siccome ci inquieta, tentiamo di nascondere con nobili abiti da parata. Faccio per dire: quando anni fa si cominciò a calcare la mano sul km 0 alcuni fecero notare: ma se proprio deve essere zero, questo prodotto come raggiunge casa mia? La prima risposta fu: vieni tu a prenderlo, così ti fai un giro in campagna.

 

Giusto, e infatti ci vai, poi siccome al ritorno resti imbottigliato nel traffico, non su una consolare ma su uno sterrato di campagna, perché tante persone sensibili al km 0 sono andate nello stesso giorno, alla stessa ora in quell’azienda, creando dunque un imbuto, ecco allora pensi: ma a parte che qua i chilometri si fanno lo stesso, cioè se la montagna, ovvero il fornitore, non va da Maometto, allora Maometto va alla montagna, però in assenza di teletrasporto (che, se ci fosse, il governo bloccherebbe per una questione di dati e di moduli da firmare con carta e penna) quelli di Maometto sempre km sono. Ma poi non era meglio che prendevamo un camion che si caricava tutte le merci e poi le distribuita in un punto di raccolta? Quelli del Km 0 dissero: ma mica vale per tutti i prodotti. Ok, la mela? No, la mela no, perché esportiamo. La pera? No! L’80 della pericoltura è romagnola: le pere devono viaggiare, mi sa. Ok, pesche? Albicocche? Dipende. Perché esistono luoghi vocati a determinate colture, quindi no, non possiamo far tutto dappertutto. Insalate? Eh, forse. Certo alcune nostre primizie dell’ortofrutta finiscono in Germania, allora escludiamo quelle, altrimenti come facciamo a spuntare un buon prezzo? Togli questo, togli quello, alla fine è difficile capire di quanto deve essere corta la filiera. Non dimentichiamoci che la sostenibilità è pure economica, sennò il concetto rimane materia per alcuni guru ben pagati. 

 

C’è già materia per un corso accelerato, ma il climax della umana contraddizione si raggiunge con il vino. Come sapete siamo tutti intenditori di vino. Però  il mercato è dominato delle cosiddette cultivar internazionali. Dei 260 milioni di ettolitri e passa di vino prodotti annualmente nel mondo, oltre il 60 per cento si realizza con un numero piuttosto esiguo di vitigni, definiti internazionali: Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Chardonnay, Pinot, Petit Verdot. Alcune varietà minori e locali sono scomparse. E sono scomparse perché dalle uve non sempre si ottiene un buon vino. Certo potremmo provarci e ripescare vecchie varietà (anche perché sono un serbatoio genetico importante) ma il nostro interesse sarebbe sicuramente quello di fare un buon vino. Tuttavia proprio perché si distingue dai cugini globalizzati nutrirebbe l’aspirazione di essere venduto dovunque.

Insomma, riassumendo, nel corso accelerato di contraddizioni il capitolo da studiare è solo quello del vino. Lì, proprio nessuno vuole fare la filiera corta, più esportiamo più contenti siamo, che quando vai in Perù e trovi un buon Barolo in bella mostra a un prezzo mostruoso allora dici: abbiamo insegnato al mondo a bere e mangiare, dunque il Km 0 per noi non vale, per gli altri però sì, nel senso che le schifezze straniere noi non le vogliamo.

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