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Le campane stonate dei vescovi italiani
Non c'è solo Gaza. I vescovi si ricordino anche dei 365 milioni di cristiani perseguitati nel mondo
Fa specie che i vescovi si mobilitino per scuotere le coscienze globali su Gaza e contro Israele proprio nelle ore in cui in Congo più di quaranta cattolici venivano bruciati vivi e finiti a colpi di machete mentre erano riuniti in chiesa a pregare
Roma. Domenica sera tante piazze italiane sono state svegliate dall’improvviso suono delle campane. Curie e parrocchie avevano aderito all’iniziativa “Gaza muore di fame: disertiamo il silenzio”, proposta da Paola Caridi, Claudia Durastanti, Micaela Frulli, Tomaso Montanari, Francesco Pallante ed Evelina Santangelo. L’idea degli ideatori dell’evento era quella di mobilitare tutta Italia per “unire le nostre sirene e le nostre campane alle sirene delle ambulanze di Gaza” mentre “Israele prepara una terra finalmente davvero senza popolo. Affamando, assetando, bombardando” e “i governi del cosiddetto mondo libero stanno con Israele. Con il carnefice, non con la vittima”. Sul banco degli imputati pure il governo italiano che “continua a sostenere Israele: impedendo la sospensione dell’accordo con l’Unione europea; continuando a vendergli armi; coprendolo in ogni modo”. A questo hanno aderito anche tanti vescovi, che hanno prontamente rilanciato in note, comunicati, post sui loro social, l’adesione e l’annuncio che le campane avrebbero suonato. “Non rimarremo in silenzio, mentre la gente di Gaza viene sterminata”, ha tuonato da Manfredonia il vescovo descamisado Franco Moscone, uno che più che al numero delle vocazioni sacerdotali nella sua diocesi pensa alle marce di protesta, siano contro l’occidente militarista – vorrebbe Russia e Bielorussia nell’Unione europea – o la divisione territoriale tra i comuni di Manfredonia e Monte Sant’Angelo. Più equilibrato, nell’annunciare l’adesione al concerto campanario, il vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino: “E’ ora di salvare Gaza, quanto rimane di essa, i suoi bambini, le sue case, i suoi luoghi di culto, i suoi spazi di vita. E’ ora di restituire dignità e speranza a un popolo ridotto al sangue, alla fame, alla morte”. Però, fa sapere il vescovo, “sappiamo bene che questa prolungata ostilità da parte dell’esercito israeliano non nasce dal nulla. Sappiamo che viene da lontano, da una storia complessa di responsabilità che non stanno da una parte sola, e che ha avuto come fattore scatenante l’orribile attacco di Hamas nei confronti di Israele del 7 ottobre 2023”. Meglio di niente.
Al di là di ciò e con il sospetto che non tutti i presuli abbiano letto bene i punti qualificanti l’appello, fa specie che i vescovi si mobilitino per scuotere le coscienze globali su Gaza e contro Israele proprio nelle ore in cui in Congo più di quaranta cattolici venivano bruciati vivi e finiti a colpi di machete mentre erano riuniti in chiesa a pregare. Il Papa, in un telegramma, ieri li ha definiti “martiri”. La notizia, per lo più, derubricata a noterella di Esteri, giusto per riempire lo spazio rimasto sguarnito sui giornali. Benissimo manifestare contro l’orrore che si vede ogni giorno a Gaza, per far sì che quel popolo possa avere quantomeno acqua e pane per vivere e non morire di fame. Sarebbe bello che l’indignazione corale dei vescovi si facesse sentire non solo quando la questione diventa politica e ideologica, ma anche quando c’è da ricordare i 365 milioni di uomini e donne, vecchi e bambini perseguitati nel mondo a causa della loro fede e i 4.998 cristiani trucidati in un solo anno solo perché colpevoli, appunto, d’essere cristiani.