editoriali

Il Papa mandi uno Zuppi in Nicaragua

Redazione

Dopo aver confiscato i beni dell’Università Centroamericana di Managua, il regime di Daniel Ortega ha ordinato alla polizia di sfrattare i sei padri gesuiti che dirigevano l’ateneo. Serve un gesto forte della Santa Sede

Al regime di Daniel Ortega, in Nicaragua, non bastava aver confiscato i beni dell’Università Centroamericana di Managua, l’Uca fondata sessantatré anni fa. Dopo aver trasferito tutto allo stato (conti correnti compresi) e averne cambiato il nome, il governo ha ordinato alla polizia di sfrattare dalla residenza in cui abitavano i sei padri gesuiti che fino a pochi giorni fa dirigevano l’ateneo, uno dei pochi presidi di libertà rimasti nel paese. Ai religiosi è stato consentito di portarsi via qualche oggetto personale e nulla più.

 

Immediata la protesta formale della Compagnia di Gesù, che ha condannato l’azione di forza e ha rispedito al mittente le accuse che hanno portato all’esproprio: secondo Ortega, infatti, l’Uca è un “covo di criminali e terroristi”. L’appiglio della magistratura è legato al fatto che negli ultimi anni l’Università ha offerto riparo ai giovani che manifestavano contro il governo.

 

Il quadro, in Nicaragua, è sempre più complicato e pare arduo dar credito a quanto il Papa in persona, più d’una volta, ha detto: un dialogo incessante tra le Parti sarebbe in corso da tempo. Se così è, non si capisce su quali basi si svolga, considerato che dall’espulsione del nunzio e delle missionarie della Carità di Madre Teresa il quadro si è fatto sempre più drammatico, tra arresti, divieti e minacce ai cristiani.

 

Il sospetto è che dietro l’ultima mossa del presidente vi sia la rabbia per non aver ottenuto la resa del vescovo Rolando Álvarez, ormai da un anno detenuto in carcere. A luglio gli era stata offerta la libertà in cambio dell’espatrio. Álvarez ha rifiutato, preferendo restare in Nicaragua. Una presenza scomoda per il regime, un martire in catene di cui tutto il mondo parla e che complica i piani di Ortega.

 

Forse servirebbe che dopo Mosca, Kyiv e Washington, la Santa Sede spedisse anche a Managua un proprio inviato di rango. Se non altro per rendere chiaro che il Nicaragua è nei pensieri della Chiesa.

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