L'incredibile silenzio delle alte gerarchie vaticane sulle ignobili accuse contro Wojtyla

Matteo Matzuzzi

In prima serata l'ultima infamia sul Papa santo coinvolto nella scomparsa di Emanuela Orlandi. Da quarant'anni sul caso si susseguono supposizioni e telefonate con voci camuffate. Ma l’unico a difendere Giovanni Paolo II è stato il suo ex segretario

Il Vaticano ha deciso di andare fino in fondo sulla vicenda che riguarda la scomparsa di Emanuela Orlandi, datata 1983. Frase che si sente ripetere da qualche lustro, ma che stavolta ha portato il Promotore di giustizia, Alessandro Diddi, a dare udienza a Pietro Orlandi (fratello di Emanuela) per ben otto lunghe ore. Apertura rilevante, ché il Papa ha così deciso: fare chiarezza. Nel frattempo, a “Dimartedì” si trasmetteva un audio in cui a parlare è un uomo vicino alla banda della Magliana. La voce che tutto dice di sapere è sicura che “Giovanni Paolo II se le portava in Vaticano quelle, era una situazione insostenibile. E così il segretario di stato a un certo punto è intervenuto decidendo di toglierle di mezzo. E si è rivolto a persone dell’ambiente carcerario”. Anziché prendere le distanze o limitarsi a un generico “boh”, Pietro Orlandi, lì ospite, rincarava la dose: “Mi dicono che Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi e non andava certo a benedire le case”. “Mi dicono”. Il problema è proprio questo, in questa vicenda: il susseguirsi, per quattro decenni, di supposizioni, piste che hanno portato a niente, telefonate con voci camuffate. E tanti “dicono”. Chi lo dice? Non si sa. Prove? Zero. Ma l’angoscia e la stanchezza di Pietro Orlandi si possono anche umanamente comprendere.

  
Quel che risulta incomprensibile è il silenzio tombale del Vaticano sulle accuse mosse contro Giovanni Paolo II, che sarebbe pure santo, e fatto santo dal Papa regnante. A parte il duro editoriale di Andrea Tornielli, pubblicato ieri sui media vaticani, non una parola è giunta dalle alte gerarchie. Ogni giorno, da oltretevere, esce di tutto: notizie su attori più o meno sulla breccia ricevuti in udienza, iniziative di questo o quel dicastero, il programma della “Giornata dei nonni”, l’ennesima intervista di Francesco identica a quella rilasciata il giorno prima. Ma una riga, una parola per dire che forse è un po’ azzardato sostenere che un Papa santo la sera se ne andava in giro per Roma a cercare ragazzine, no. Non c’è stato tempo? Bisogna mostrarsi disponibili a “fare chiarezza” fino a questo punto, perché è questo che il mondo vuole con ardore e furia belluina? La Segreteria di stato è in altre faccende affaccendata? Non si sa. E’ chiaro poi che chi non ci sta a vedere triturato Giovanni Paolo II nell’infernale macchina montata dalle bolge social reagisca senza badare ai toni moderati o alla consueta prudenza diplomatica. Il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e soprattutto storico segretario particolare di Wojtyla, ha scritto un comunicato in cui parla di “insinuazioni ignobili”, di “accuse farneticanti, false dall’inizio alla fine, irrealistiche, risibili al limite della comicità se non fossero tragiche, anzi esse stesse criminali”. Con la speranza finale che “l’Italia, culla universale del diritto, saprà con il suo sistema giuridico vigilare sul diritto alla buona fama di chi oggi non c’è più, ma che dall’alto veglia e intercede”. L’unico a parlare deve essere il suo ex segretario? E’ un problema, prima di tutto di credibilità dell’Istituzione stessa. E’ facile prendere posizione sul clima che cambia o sulla nevrosi delle donne (cit.). Più complicato è farlo quando si vanno a toccare temi che urtano la sensibilità dominante che garantisce applausi e buona stampa. (Matteo Matzuzzi)


 
 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.