nota explicativa praevia (ops) al dibattito su Bergoglio
Tutti i programmi dei Papi falliscono, meglio guardare ai loro semi
Dai progetti culturali ai dialoghi di Ratzinger alle profezie di Wojtyla e Montini. Le verità che restano, nascoste
Girano da qualche tempo, in questo tempo post lockdown, allarmate segnalazioni e persino lettere di vescovi, compresa una della Cei, sul fatto che la ripresa delle messe in presenza stia facendo registrare un secco calo dei fedeli che partecipano al rito in chiesa. Si attendono le statistiche, ma mancherebbero maggiormente i giovani. Un evidente cattivo segnale per la chiesa, che da parte dei commentatori cattolici conservatori (anche tralasciando i tradizionalisti-negazionisti) viene letto come la prova provata che il “cedimento” sulla chiusura delle chiese è stato un dannoso tradimento della fede, al limite della blasfemia. Non entriamo nel merito, ma si potrebbe utilmente ragionare su un’altra evidenza: se molti cattolici hanno repentinamente perso l’abitudine della messa domenicale, significa che la loro adesione alla vita della chiesa non era così radicata. “Cattolici di facciata”, si diceva una volta. Ma da questo dovrebbe discendere anche una riflessione più urgente e scomoda, che infatti è totalmente trascurata. Quella sui decenni persi, in Italia ma con il beneplacito papale, a cullarsi su un “eccezionalismo italiano” basato su una tenuta antropologica e popolare cattolica che evidentemente non c’è, o era colpevolmente sovrastimata. E questo ci introduce in argomento, l’argomento dei programmi dei Papi (ma anche delle Conferenze episcopali, si avesse voglia di andare a vedere cosa accade nel mondo: la discrepanza tra le parole e gli esiti). Il Progetto culturale della chiesa italiana di epoca ruiniana, basato com’era sul presupposto di un eccezionalismo cattolico da mettere a frutto, è stato un disastro inconcludente. Perché si basava su un’astrazione e non sulla costatazione che il cattolicesimo in Italia, come nel resto dell’occidente, è una minoranza residuale, che al massimo può essere “creativa”, diceva Ratzinger, ma non egemonica. Poi è venuto un Papa chiamato “quasi dalla fine del mondo”, “buonasera”, a portare la notizia di prima mano che in quelle parti del mondo, due terzi del mondo, così come nello sfibrato occidente la situazione antropologica è quella che è, trovare una famiglia tradizionale è dura anche tra chi va in chiesa, si sta chiusi in parrocchia eccetera. Notizie già evidenti anche qui, e non solo per colpa della Germania, se non fosse per i paraocchi dei progetti culturali. Si può soltanto ripartire dall’annuncio del Vangelo e dalla testimonianza, dall’abc delle preghiere e dal catechismo della misericordia. Questo era l’unico programma, e non a caso Francesco lo ha rilanciato nell’Angelus di domenica scorsa: “E’ meglio una chiesa incidentata, per uscire, che una chiesa ammalata da chiusura. Perché Dio esce sempre”.
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- Maurizio Crippa
"Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.
E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"