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La caduta di fratel Enzo Bianchi

Matteo Matzuzzi

Nessuna pietà per il molto mediatico principe di Bose, cacciato dal Papa cui ha disobbedito

Roma. Il professor Alberto Melloni, su Twitter, ha definito “enorme” la sanzione che il Papa ha comminato a Enzo Bianchi, priore emerito di Bose e fondatore del monastero molto cool che ben si porta su giornali, riviste e circoli intellettuali. Il fondatore che solo poche settimane fa spiegava a Repubblica la sua tranquilla vita da vegliardo – studio, preghiera, incontri con amici, l’orto – ora deve andarsene insieme a tre confratelli. “Una condanna senza appello e senza accuse”, aggiunge Melloni. I social danno voce ai pettegolezzi e il chiacchiericcio è insistente sui presunti reali motivi dell’allontanamento coatto disposto da un decreto firmato dal cardinale segretario di stato con l’approvazione piena di Francesco, contro il quale già si sprecano le imprecazioni da parte del pubblico che fino all’altro ieri ne esaltava ogni gesto, parola, opera. In realtà – canonisticamente parlando – bastano e avanzano le spiegazioni date dallo stesso monastero di Bose con un comunicato che non fa fare bella figura a Bianchi, anche se è indubbio che la durezza del provvedimento (peraltro così rapido) alimenti dubbi e perplessità. Che nella cascina del biellese ci fossero problemi era cosa nota da tempo, tra spaccature interne, cordate opposte e clima tutt’altro che fraterno. L’origine di tutto ciò, a quanto pare, era proprio nel comportamento del fondatore, che nonostante il pensionamento nel 2017 avrebbe continuato a comandare col pugno di ferro grazie al suo forte ascendente sui monaci, limitando e oscurando il successore, Luciano Manicardi. Il Vaticano, lo scorso dicembre, spedì in Piemonte una commissione di visitatori, incaricati di interrogare i monaci laici e di stendere una relazione finale.

 

Nulla di strano: le visite di questo tipo sono frequenti, benché meno frequenti siano provvedimenti simili a quelli adottati per Bose. Relazione durissima che ravvisava “una situazione tesa e problematica per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo” e, appunto, “il clima fraterno”. I quattro monaci laici hanno rifiutato il provvedimento vaticano e per questo dovranno andarsene. Che Enzo Bianchi, sostenitore fervente del pontificato presente disobbedisca al Papa effettivamente rappresenta, per dirla con Melloni, un’enormità. E’ logica conseguenza, dunque, la freddezza con la quale i media vaticani hanno dato conto dell’allontanamento, non addolcendo per nulla una pillola già di per sé amara (a lungo il già priore è stato corteggiato da ambienti curiali, tra inviti ai Sinodi e nomine in dicasteri d’oltretevere in qualità di esperto). Ma quel che più colpisce è la chiosa finale del comunicato pubblicato dal monastero di Bose: “Invochiamo una rinnovata effusione dello Spirito su ogni cuore, perché pieghi ciò che è rigido, scaldi ciò che è gelido, drizzi ciò che è sviato e aiuti tutti a far prevalere non il sentimento personale ma la sua azione”. Pare che i primi a dubitare degli accostamenti tra il fondatore e san Francesco – come s’è letto in rete – siano proprio i discepoli di Bianchi, poco inclini a sostenerne l’immagine molto mediatica di umile servitore nella vigna del Signore. A sera, il comunicato con cui fratel Enzo chiede aiuto a Roma: “In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto”. Infine, dopo aver negato d’aver messo in dubbio l’autorità del successore, ribadisce di essere stato “sempre obbediente, nella giustizia e nella verità, alla volontà di Papa Francesco”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.