Il Papa ai capi di stato dell'Ue: "L'Europa non è un insieme di regole da seguire. No ai populismi e alla grigia uniformità"

Matteo Matzuzzi

Francesco ha ricevuto in Vaticano i capi di stato e governo dell'Unione europea. Sulla questione dei migranti, ha detto che "non ci si può limitare a gestire la grave crisi di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza"

Roma. E’ diviso in due parti il discorso che il Papa ha tenuto dinanzi ai capi di stato e di governo dell’Unione europea, giunti a Roma per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Francesco parte ricordando il disegno dei Padri fondatori e chiarisce subito qual è il cuore della questione: “Ritornare a Roma sessant’anni dopo non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell’evento per comprenderne la portata nel presente. Occorre immedesimarsi nelle sfide di allora per affrontare quelle dell’oggi e del domani”.

 

Il Papa osserva che “l’Europa non è un insieme di regole da osservare”, non è “un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare”.

 

Da qui la necessità di agire concretamente davanti alle sfide contemporanee. “Negli ultimi sessant’anni il mondo è molto cambiato. Se i Padri fondatori, che erano sopravvissuti a un conflitto devastante, erano animati dalla speranza di un futuro migliore e determinati dalla volontà di perseguirlo, evitando l’insorgere di nuovi conflitti, il nostro tempo è più dominato dal concetto di crisi”. Il nostro, ha aggiunto Bergoglio, “è un tempo di discernimento, che ci invita a vagliare l’essenziale e a costruire su di esso: è dunque un tempo di sfide e di opportunità”.

 

“La rievocazione del pensiero dei Padri sarebbe sterile se non servisse a indicarci un cammino, se non diventasse stimolo per l’avvenire e sorgente di speranza. Ogni corpo che perde il senso del suo cammino, cui viene a mancare questo sguardo in avanti, patisce prima un’involuzione e a lungo andare rischia di morire”, ha detto il Papa, soffermandosi poi sul concetto di solidarietà, che “non è un buon proposito: è caraterizzata da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e ‘guardare oltre’. Occorre – ha aggiunto Francesco –  ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa”.

 

L’Europa, ha detto ancora il Papa, “ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze. Al contrario, la sua storia è fortemente determinata dall’incontro con altri popoli e culture e la sua identità è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale”. Quindi, il tema dei migranti: “Non ci si può limitare a gestire la crisi migratoria di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza. La questione migratoria pone una domanda più profonda, che è anzitutto culturale. Quale cultura propone l’Europa oggi? La paura che spesso si avverte trova, infatti, nella perdita d’ideali la sua causa più radicale. Senza una vera prospettiva ideale si finisce per essere dominati dal timore che l’altro ci strappi dalle abitudini consolidate, ci privi dei confort acquisiti, metta in qualche modo in discussione unos tile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale. Al contrario – ha sottolineato Bergoglio –  la ricchezza dell’Europa è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell’esistenza. All’apertura verso il senso dell’eterno è corrisposta anche un’apertura positiva, anche se non priva di tensioni e di errori, verso il mondo”.

 

Invece, ha detto il Pontefice, “il benessere acquisito sembra averle tarpato le ali, e fatto abbassare lo sguardo. L’Europa ha un patrimonio ideale e spirituale unico al mondo che merita di essere riproposto con passione e rinnovata freschezza e che è il miglior rimedio contro il vuoto di valori del nostro tempo, fertile terreno per ogni forma di estremismo. Sono questi gli ideali che hanno reso Europa quella penisola dell’Asia che dagli Urali giunge all’Atlantico”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.