Papa Francesco (foto LaPresse)

Il flop tutto americano dell'enciclica papale sull'ambiente

Matteo Matzuzzi
Il professor James Schall, gesuita, saggista e docente, dice che “la chiesa rischia di diventare ridicola se agisce al di fuori del proprio campo, confondendo la scienza, riformabile quanto ai princìpi, con quelli che sono i fatti”. “La questione più problematica  è lo status scientifico della posizione di Papa Francesco sul riscaldamento terrestre".

Roma. “Il Papa e la sua enciclica Laudato Si’ hanno fallito nel tentativo di raccogliere qualsiasi tipo di consenso sul cambiamento climatico tra i cattolici e i non cattolici americani”, dice al Guardian Nan Li, docente alla Texas Tech University e responsabile dello studio – che è stato pubblicato sulla rivista scientifica Climatic Change –  condotto dall’Annenberg Public Policy Center della University of Pennsylvania sul recepimento del messaggio papale sul clima in territorio americano. “Se l’intervento papale a prendersi cura dell’ambiente può aver aumentato le preoccupazioni di alcuni riguardo i cambiamenti climatici, la maggioranza dei conservatori (cattolici e non) non solo ha difeso le proprie convinzioni preesistenti, ma ha anche svalutato la credibilità del Papa su tale argomento”, osserva Li.

 

Il dato curioso è che tali convinzioni si sono radicate ancora di più dopo la pubblicazione dell’enciclica, nel giugno del 2015. Dei 2.755 intervistati, il 22,5 per cento si è detto a conoscenza del testo promulgato dal Pontefice, ma ben pochi tra quanti si sono dichiarati conservatori hanno detto di condividerne tesi e soluzioni proposte. Il messaggio centrale dell’enciclica, e cioè che agire contro il riscaldamento globale è un imperativo morale – sostiene lo studio – non ha fatto breccia tra i cattolici americani, salvo tra coloro che fedeli al Papa si dichiarano al contempo liberal (il 68 per cento circa, secondo una rilevazione condotta tempo fa dal Pew Research Center). Padre Robert Sirico, presidente del think tank Acton Institute, aveva spiegato perché l’enciclica avrebbe fatto fatica a essere compresa negli Stati Uniti: in quel testo, scriveva, “c’è un forte pregiudizio contro il libero mercato e il suggerimento che la povertà sia il risultato di un’economia globalizzata”. Eppure, aggiungeva, “il capitalismo ha stimolato la maggiore riduzione della povertà nella storia mondiale”.

 


Padre Robert Sirico (immagine di Youtube)


 

Quanto all’autorevolezza del Papa sul tema, il problema è che “la chiesa non può permettersi di sostenere ipotesi pseudoscientifiche” sul cambiamento climatico, ribadisce al Foglio il professor James Schall, gesuita, saggista e per trentacinque anni ordinario di Filosofia politica alla Georgetown University di Washington. “La chiesa – dice – rischia di diventare ridicola se agisce al di fuori del proprio campo, confondendo la scienza, riformabile quanto ai princìpi, con quelli che sono i fatti”. “La questione più problematica  è lo status scientifico della posizione di Papa Francesco sul riscaldamento terrestre. Nella migliore delle ipotesi, si tratta di opinioni sostenute da qualche prova, ma Laudato Si’ non menziona alcuna prova contraria” a tale tesi, osservava ancora Schall, il cui ultimo libro è Docilitas: On Teaching and Being Taught (St. Augustine Press).

 

“Le letture satellitari della temperatura del pianeta sono ben diverse dai dati generati da un computer onusiano che fornisce statistiche. La temperatura della Terra non è cambiata negli ultimi decenni. La maggior parte delle questioni più controverse può essere spiegata in modo plausibile con cause naturali. I cambiamenti climatici si sono verificati su questo pianeta fin dalla sua creazione, molto tempo prima che arrivasse l’uomo. La combustione dei fossili non produce alcun cambiamento significativo nella percentuale già molto bassa di CO2 nell’atmosfera”. Si parla dello 0,035 per cento.

 


James Schall (immagine di Youtube)


 

Padre James Schall torna su un punto sottolineato già da Nan Li, quando parla della credibilità del Papa (ma più in generale, della chiesa attraverso i suoi rappresentanti e ministri) su un tema delicato e assai scivoloso come questo: “Il potenziale danno alla chiesa è grande se non tutte le prove scientifiche sono considerate”. Schall aveva pubblicato nel 2015 un breve saggio in cui scriveva che secondo quel che si sente dire, la “vera missione umana sia quella di mantenerci in vita su questo pianeta il più a lungo possibile. Questo sforzo è il compito serissimo che l’umanità è chiamata a compiere. E tutti gli altri scopi, gli altri fini umani, diventano insignificanti. L’alternativa al Cielo diventa così la colonizzazione interstellare o il mantenere la terra incontaminata”. Schall non si stupisce dell’effetto limitato che l’enciclica, a più d’un anno di distanza, ha avuto negli Stati Uniti, dove perfino nella Conferenza episcopale locale a lungo si è preferito non parlare del problema.

 

Al termine dell’assemblea ordinaria della primavera del 2015, che di pochi giorni aveva preceduto la pubblicazione dell’enciclica, il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, aveva osservato in un commento apparso sul liberal New York Times come nessuno tra i suoi confratelli ne avesse parlato: “Non capiscono la complessità della questione”. Se è per questo, dice Schall, “nemmeno in questa campagna elettorale si è dato molto spazio al tema del cambiamento climatico, il che è strano considerando quanto l’attuale presidente, Barack Obama, vi abbia insistito”. Al di là di tutto, bisognerebbe limitarsi a guardare i fatti, osserva il gesuita: “Il riscaldamento della Terra avviene o non avviene solo per cause legate al Sole e al sistema solare. Sono cose che accadono da tempo immemorabile. Il riscaldamento attribuito all’industrializzazione è molto minore, e non è detto che sia per forza una cosa cattiva”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.