Il presidente della Cei, Angelo Bagnasco (foto LaPresse)

Perché la Cei dovrebbe aggiustare il tiro nelle critiche sulle unioni civili

Roberto Volpi
La Cei, ancora in ultimo per bocca del suo presidente Angelo Bagnasco, ha espresso tutto il suo dissenso sul ddl sulle unioni civili che Renzi prevede possa essere varato entro la fine dell’anno. Due i filoni lungo i quali si snoda la puntuta critica dei vescovi.

La Cei, ancora in ultimo per bocca del suo presidente Angelo Bagnasco, ha espresso tutto il suo dissenso sul ddl sulle unioni civili che Renzi prevede possa essere varato entro la fine dell’anno. Due i filoni lungo i quali si snoda la puntuta critica dei vescovi. Il primo, specifico sul provvedimento, accusato di attribuire alle unioni civili diritti e doveri uguali a quelli previsti per la famiglia fondata sul matrimonio. Il secondo, più generale e rivolto al governo, accusato di non porre uguale attenzione a una politica di sostegno alle famiglie.

 

Premesso che la Cei ha tutto il diritto di far sentire la sua voce e di avanzare proprie proposte su materie che toccano così da vicino il suo impegno pastorale, a me sembra che le critiche non colgano nel segno. Su che cosa le unioni civili tra coppie dello stesso sesso si dovrebbero distinguere dal matrimonio se non sulla questione, centrale e dirimente, dei figli? I figli debbono avere un padre e una madre, pienamente d’accordo. Non riconoscendo alle coppie omosessuali il diritto di avere figli, comunque ottenuti, con la PMA o con l’adozione, il ddl stabilisce il confine al tempo stesso antropologico e naturale tra la coppia etero e la coppia omosessuale, riconoscendo invece alla coppia eterosessuale, e solo a essa, il primato di genitorialità e filiazione. Ed è nella genitorialità e nella filiazione che sta il centro costitutivo di quella famiglia che la chiesa considera naturale (in realtà culturale a sua volta, in quanto non c’è stata famiglia come la intendiamo oggi fino a quando non è stata scoperta la paternità – ovvero il ruolo del maschio nella generazione – e questa scoperta è sostanzialmente un frutto dell’invenzione dell’agricoltura, della stanzialità, della nascita della civiltà urbana). Chi non ha il diritto di sposarsi dovrà bene avere il diritto di convivere alla luce del sole in un quadro di garanzie riconosciute. Diversa sarebbe stata la cosa con il riconoscimento della parità sotto tutti gli aspetti tra famiglia eterosessuale di fatto e famiglia unita in matrimonio, magari con l’istituzione di un albo / registro delle famiglie di fatto. Siffatte sciocchezze, fatte per venire incontro alle idiosincrasie di persone che hanno in odio il matrimonio ma ne pretendono garanzie e vantaggi, vengono evitate proprio con le unioni civili, che delimitano ufficialmente il campo che sta fuori del matrimonio. Piuttosto, votata la legge occorrerà che se ne eviti la distorsione da parte di tribunali e magistrature. Ma se ci facciamo bloccare da certe eventualità, ci immobilizziamo da soli. E questa non è un’alternativa.

 

Ma è la seconda critica, quella al governo di non coltivare una politica per la famiglia, di non fare altro che rilasciare dichiarazioni mentre il lavoro manca e cresce il disagio delle famiglie, a mostrare maggiormente un vero limite culturale nella valutazione della Cei. Credere, ancora oggi, che una politica per la famiglia sia fatta tutta di elementi specifici “per la famiglia”, ad hoc, indirizzati espressamente a migliorare / supportare qualche aspetto della vita delle famiglie, è sorpassata e fuorviante. Mi spiego. Una linea strategica come quella avanzata dal presidente Renzi per abbattere il peso delle tasse in Italia, a cominciare da quelle sulla prima casa (che riguarda più di 8 italiani su 10) per finire con quelle sul lavoro, non si risolve forse in un aiuto ch’è il più concreto possibile proprio alle famiglie? Il lavoro non c’è, dice la Cei. Ora, a parte il fatto che ce n’è più di prima (e non è neppure vero che cresce il disagio delle famiglie – ma perché la Cei non lascia queste sparate ai Grillo e ai Salvini?), non è forse proprio per creare più lavoro che si debbono abbassare le tasse sul lavoro?

 

Ci sono ragioni culturali di grande rilevanza, cambiamenti di costumi e modi di sentire, nel precipitare in Italia dei matrimoni e delle dimensioni delle famiglie. Non si capirebbe, altrimenti, com’è che la corsa al ribasso di matrimoni e famiglie continua senza fermarsi da quarant’anni a questa parte. Dalla Cei ci aspettiamo riflessioni e approfondimenti soprattutto su questo fronte, perché di questo più sentiamo – la società sente – il bisogno.

 

[**Video_box_2**]Quanto a una politica specificamente per la famiglia, due sono le azioni da perseguire con ferma convinzione. La prima: condizioni agevolate per le giovani coppie unite in matrimonio per potersi comprare casa. La seconda: più assegni / soldi dati alle coppie per il mantenimento particolarmente del secondo figlio, del quale l’Italia ha bisogno come il pane. Tutto il resto è (sta) nelle politiche generali. E quella di abbassare le tasse è la scelta cardine, in un paese come il nostro, di queste politiche. Andrà espressamente a vantaggio proprio delle famiglie, non c’è da dubitarne. Sempre ammettendo, ovviamente, che il governo Renzi sia capace di perseguirla fino in fondo, così come l’ha enunciata.

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