Papa Francesco (foto LaPresse)

Un pontificato drammatico, ma lasciamo perdere gli indici di gradimento

Matteo Matzuzzi
Due anni con Papa Francesco, parla il vaticanista John Allen. “Consideriamo l’enorme reazione globale ai suoi primi giorni di pontificato, le interviste che ha dato e l’intenso dibattito che queste hanno scatenato. E poi i sinodi, i viaggi, i trasferimenti di personale, l’Evangelii Gaudium. A volte pare di aver vissuto un pontificato ventennale in solo due anni”.

Roma. “Ripercorrendo ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, dire che questo papato è drammatico è dire poco”. John Allen è considerato il principe dei vaticanisti statunitensi. Già tra le firme principali di National Catholic Reporter, è passato al Boston Globe e ha dato vita al portale Crux. Da dieci giorni è nelle librerie, edito da Time Books, il suo “The Francis Miracle: inside the transformation of the Pope and the Church”, (“Il miracolo Francesco: dentro la trasformazione del Papa e della chiesa”). Un libro “sul papato, non sul Papa”, chiarisce subito Allen. Un papato, appunto, drammatico: “Consideriamo l’enorme reazione globale ai suoi primi giorni di pontificato, le interviste che ha dato e l’intenso dibattito che queste hanno scatenato. E poi i sinodi, i viaggi, i trasferimenti di personale, l’Evangelii Gaudium. A volte pare di aver vissuto un pontificato ventennale in solo due anni”.

 

Naturalmente, “dipende da ciascuno valutare se questo ‘dramma’ sia stato buono o cattivo. I sondaggi ci dicono che in giro per il mondo una grande maggioranza di cattolici e non cattolici è dalla parte di questo Papa, ma c’è una minoranza determinata dentro la chiesa che lo trova destabilizzante ed eccessivamente accomodante verso la secolarizzazione. Ciò che nessuno può negare, però, è che questi anni sono stati tutto tranne che tranquilli”. Se poi il consenso verso il carisma di Francesco riesca a riempire le chiese, è un altro discorso: “E’ vero che oggi è difficile parlare di un ‘effetto Francesco’ che si possa misurare. Negli Stati Uniti, un recente studio del Pew Forum non ha riscontrato alcun aumento statisticamente significativo nella partecipazione alla messa o nell’identificazione come ‘cattolico’ in seguito all’elezione di Bergoglio. In Italia, invece, Massimo Introvigne ha rilevato che metà dei sacerdoti da lui intervistati ha riscontrato un aumento della partecipazione alla messa e alle confessioni. Ci vorrà del tempo per valutarne l’impatto. D’altra parte, in un certo senso non è corretto fare queste statistiche per misurare il successo o il fallimento di un Pontefice. Giovanni Paolo II ha riempito le piazze per quasi ventisette anni, senza però essere riuscito ad arginare la marea secolarizzante in occidente”. Quel che appare evidente, continua Allen, è che “in conseguenza della popolarità di questo Papa, la gente sta guardando in modo nuovo il cattolicesimo, il che significa che la chiesa sta vivendo un nuovo momento missionario”.

 

Certo, i problemi non mancano e le resistenze sono forti. Lo si è visto bene al Sinodo straordinario dello scorso ottobre, quando vescovi e cardinali si sono accapigliati dentro e fuori l’Aula nuova: “Sembra chiaro che sono divisi su tre punti, e cioè sulla possibilità di riammettere i cattolici divorziati e risposati all’eucaristia, sull’accoglienza delle persone omosessuali e sull’approccio positivo della chiesa nella valutazione morale delle relazioni irregolari, come le convivenze. Non c’è nulla di sorprendente, dato che il cattolicesimo è diviso su queste questioni già alla sua base”. Come andrà a finire è difficile dirlo: “La mia previsione è che il prossimo ottobre le divisioni saranno altrettanto intense. Il dramma del Sinodo non sta in ciò che il Papa ascolterà, ma in ciò che lui farà quando i vescovi saranno tornati a casa e lui dovrà prendere delle decisioni”. Prima dell’assemblea dell’autunno, Francesco si recherà negli Stati Uniti, il paese dove più intense sono state le critiche al nuovo corso impostato dal Pontefice argentino, fin dalle prime settimane dopo l’elezione del marzo 2013: “L’idea che tutti pensino la stessa cosa è pura fantasia. Qui ci sono 195 tra diocesi e arcidiocesi. Con gli ausiliari si arriva a 240 vescovi, con quelli in pensione a più di 300. In generale, si può dire che la corrente principale della Conferenza episcopale americana è fortemente impegnata sulle questioni pro life, come la lotta contro l’aborto e i mandati sulla contraccezione imposti dall’Amministrazione Obama come parte della riforma sulla salute.

 

Ma è altrettanto coinvolta anche sui temi di giustizia sociale, come i diritti degli immigrati. I vescovi che sottolineano maggiormente le questioni pro life potrebbero essere un po’ nervosi per come le cose stanno andando sotto questo pontificato. Detto questo – aggiunge il vaticanista del Globe – “la maggior parte dei vescovi americani è soddisfatta di Francesco, anche perché francamente quando un Papa è popolare il lavoro del vescovo è infinitamente più semplice. E’ più facile raccogliere fondi, andare in tv, visitare le parrocchie, ottenere favori dai politici. Nessuno vuole trovarsi sul lato opposto rispetto al leader religioso più importante del mondo”. In ogni caso, l’attenzione dovrebbe spostarsi più sul sud del pianeta, dove entro la metà del secolo vivranno i tre quarti dei cattolici. I fedeli di quelle regioni, Africa e Asia in testa, rivendicano “di essere protagonisti nella vita della chiesa. Sono pronti a un ruolo di guida”. A ogni modo, se oggi è interessante parlare di come si sta reagendo alla rivoluzione di Francesco negli Stati Uniti o in Italia, nel lungo periodo questo discorso non sarà più così rilevante. La questione importante sarà capire la risposta nelle Filippine, in Nigeria, in Colombia. E’ qui che si sta formando il futuro del cattolicesimo”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.