Virginia Raggi col figlio al suo primo consiglio comunale (foto LaPresse)

Casa Cinque Stelle

Marianna Rizzini
Non fosse un consiglio comunale, il primo dell’anno primo dell’èra Raggi, quello di Roma sembrerebbe un tinello, il cui effetto fa tanto “cittadino uno-vale-uno”

E a un certo punto bisogna inerpicarsi lungo la scala retro-Campidoglio, per assistere alla prima seduta del consiglio comunale romano a Cinque stelle, nel giorno primo dell’anno primo dell’èra Raggi. Bisogna fare il giro largo, ché la scalinata principale è sorvegliata dalle forze dell’ordine: si attendevano manifestanti, ma poi si vedono soltanto gli striscioni dei lavoratori dei canili. Dentro, è pienone di cronisti e curiosi della novità che intanto s’annuncia nella forma (a dir poco decontracté). C’è infatti Virginia neo-prima cittadina in maglietta, e c’è addirittura suo figlio, il bimbo che a un certo punto sale sullo scranno e s’accomoda, mentre mamma-sindaco spiega il funzionamento del microfono, per lo sgomento dei funzionari che pensano subito alle questioni asscurative (“ma lo sa Raggi che gli estranei non possono sedere lì?”, e la cosa vale per il bimbo ma pure per Paola Taverna, senatrice a Cinque stelle visibile laggiù, pure lei in saliscendi tra i banchi). E’ l’effetto-tinello che fa tanto “cittadino uno-vale-uno”, roba che piace alla pancia del web e alla stampa estera (s’immagina che l’istantanea della giovane donna in fascia tricolore con bambino farà il giro del mondo in un baleno). E poi c’è Marcello De Vito, l’ex candidato 2013 che pareva dovesse essere sindaco 2016 e invece no: anche a casa Grillo ci sono, se non le correnti, i gruppi e i gruppetti, ed è andata meglio al gruppo che sosteneva Raggi.

 

Fatto sta che De Vito, comunque ex consigliere comunale del M5s, pare pure lui a casa sua, mentre da presidente dell’Aula neoeletto si sbaglia e risponde al volo al cellulare (chiamala se vuoi emozione) e riprende gli indisciplinati che non siedono al loro posto (ma, per dimenticanza o per beata inesperienza nel ruolo istituzionalissimo, non quelli che salgono come niente fosse tra gli scranni). Compare naturalmente anche il vice-sindaco Daniele Frongia, uomo della discordia in casa Grillo nelle ultime settimane. E però, nella giornata storica visibile anche online dalla pagina Facebook del Movimento Cinque stelle (sul blog di Grillo appare invece in tempo reale la composizione della giunta, in onore della Divina Trasparenza), a Frongia arrivano naturalmente applausi anche da parte dei parlamentari e grandi nomi a Cinque Stelle finora visti dai media come possibili “congiurati” anti-Frongia. Non manca neppure la Nemesi della Nemesi: Daniela Morgante, magistrato della Corte dei Conti e già assessore al Bilancio con Ignazio Marino poi dimessosi sempre sotto Marino, sarà capo di Gabinetto. Ma non c’è tempo per interrogarsi sul perché e il percome: è l’attimo d’oro dell’insediamento e al tradizionale coro grillino “onestà-onestà” si aggiunge (nel discorso di Raggi) l’inno all’umiltà, tramite doppio tributo a due mostri sacri del Pantheon capitolino ex Pci-Pds-Ds-Pd: Luigi Petroselli e Giulio Carlo Argan (e chissà l’ex candidato sindaco e ora capo dell’opposizione pd in Campidoglio Roberto Giachetti come deve sentirsi, lui che, avesse vinto, avrebbe potuto citarli come roba di casa propria – e invece Raggi, ironia della sorte, li importa dalle case altrui). “Nessuno di loro è un politico ma sono tutti cittadini che hanno deciso di mettere la loro competenza al servizio di questa bellissima città e di noi tutti”, dice poi Raggi annunciando i nomi degli assessori, nomi che sono costati ai Cinque Stelle due settimane di patema d’animo e presagi di sventura (c’è chi vedeva tutti quei “no” preventivi ad accettare gli incarichi come preoccupante indizio di futuri intoppi rubricabili sotto la voce “bagno di realtà”).

 

Mondi che si intersecano in squadra

E la squadra è composta da uomini e donne che Raggi presenta anche online in nome della trasparenza (sarà streaming ovunque, forse pure durante le sedute nelle commissioni). Ecco dunque il vicesindaco Frongia con delega allo Sport, all’inizio destinata all’ex rugbista Andrea Lo Cicero (poi depennato per rispetto della parità di genere). Ed ecco la giunta metà uomini e metà donne, appunto: all’Urbanistica Paolo Berdini, docente universitario e scrittore; all’Ambiente Paola Muraro, ex Ama; al Bilancio e alle Partecipate Marcello Minenna, ex dirigente Consob già nella squadra del prefetto ed ex commissario Francesco Paolo Tronca; alla Cultura Luca Bergamo, ex collaboratore di Francesco Rutelli ed ex deus ex machina del festival “Enzimi” negli anni di Walter Veltroni; alla Semplificazione e Smart City Flavia Marzano, già presidente degli Stati Generali dell’Innovazione; allo Sviluppo Economico Adriano Meloni, ex amministratore delegato di Expedia; al Sociale Laura Baldassarre, già Unicef Italia e già nell’Ufficio del Garante nazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza; ai Trasporti Linda Meleo, ricercatrice alla Luiss ed esperta in economia ambientale. E mentre dall’esterno i cronisti e i curiosi notano le strane commistioni di mondi, con nomi Luiss e nomi post veltroniani in mezzo a quelli dei miti grillini non contaminati da passaggi nell’altrove (la Roma prima di loro), la cittadina Raggi dice le parole immancabili dell’istituzionalizzazione alle porte: “Sarà il sindaco di tutti, anche di chi non mi ha votata”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.