(foto LaPresse)

La "pugnalata" dei pm di Palermo

Massimo Bordin

La richiesta di archiviazione della indagine nei confronti del poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”

“Mio fratello è stato ucciso un’altra volta”. Così la sorella dell’agente Nino Agostino, ucciso, insieme alla moglie incinta, 27 anni fa a Villagrazia di Carini, ha commentato la richiesta di archiviazione della indagine nei confronti del poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”. “Una pugnalata”, così la sorella del poliziotto ucciso ha definito l’iniziativa dei pm di Palermo, gli stessi che conducono il processo sulla cosiddetta trattativa. La storia di “faccia di mostro”, del pentito “Nino il nano”, dell’altro pentito Vito Galatolo, quello che disse “è arrivato a Palermo un bidone di esplosivo per il dottore Di Matteo”, sono storie che vi abbiamo già raccontato qui. Inserite nel processo principale, riaprono vecchi processi e mai sopite aspettative. Poi scadono i termini, bisogna decidere e non si può non convenire come non ci sia una prova, tanto che sono gli stessi pm ad ammetterlo. Qui ve lo si era raccontato per tempo, mentre la giostra mediatico-giudiziaria magnificava le inchieste e parlava di veli squarciati e di verità accertate dagli acuti e coraggiosi inquirenti, che lasciavano dire, fino all’inevitabile momento del redde rationem. Forse è ingiusto che ora Di Matteo e Teresi, vengano trattati da pugnalatori ma sempre più è lecito e ragionevole chiedere conto di un metodo di indagine così fallimentare da produrre richieste di archiviazione, dopo battage mediatici che promettono ben altro, o, quando si arriva al processo, quattro sentenze di assoluzione nei processi sulla trattativa.

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