Il funzionamento del fu Pci in una grande città come Milano

Massimo Bordin
La polemica che come al solito si è innescata sul confronto dei risultati di queste elezioni comunali e le precedenti europee o politiche, più che all’istituto Cattaneo a me ha fatto pensare al recente bellissimo romanzo di Lodovico Festa “La provvidenza rossa”, dove si descrive il funzionamento dell’apparato del fu Pci in una grande città come Milano.

La polemica che come al solito si è innescata sul confronto dei risultati di queste elezioni comunali e le precedenti europee o politiche, più che all’istituto Cattaneo a me ha fatto pensare al recente bellissimo romanzo di Lodovico Festa “La provvidenza rossa”, dove si descrive il funzionamento dell’apparato del fu Pci in una grande città come Milano. Il partito aveva mille antenne, molte salariate, alcune distaccate da enti pubblici, alcune perfino volontarie. Nulla gli sfuggiva. Per l’analisi del voto le mille antenne si mobilitavano tutte. I voti si contavano uno per uno, per ogni seggio elettorale  che corrisponde a un certo numero di palazzi. Si incrociavano i dati con quelli degli iscritti, che allora erano tanti, poi con quelli della diffusione dell’Unità, infine con quelli delle elezioni precedenti. La leggenda vuole che ne uscissero dati precisi in modo impressionante. Il segretario di sezione era capace di incaricare un compagno adatto per informarsi discretamente sul perché la famiglia del quarto piano del tal palazzo avesse fatto mancare i tradizionali cinque voti. Funzionava così, altro che trend e percentuali. Anche gli altri partiti, pur meno organizzati, facevano qualcosa di simile. Una cosa nessuno faceva: rendere pubblici quei dati, tanto meno discuterne sui giornali, riservati alla propaganda sulla “impetuosa avanzata”, se c’era un lieve incremento, o sulla “sostanziale tenuta” se era andata malissimo. Quest’ultima usanza, come dimostra il dibattito di queste ore, è più dura a morire. Ma alla fine, direbbe Boskov, conta chi è sindaco.

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