
Il manifesto di Pro Vita onlus e Generazione famiglia (foto LaPresse)
Prima di toglierli, leggete i manifesti
L’omofobia non c’entra nulla e l’utero in affitto è ancora un reato
Virginia Raggi ha ordinato la rimozione a Roma dei manifesti di Pro Vita onlus e Generazione famiglia (foto sotto) che ritraevano due uomini – Genitore 1 e Genitore 2, come vuole la neutralità anti discriminatoria à la page – e un bambino in un carrello con un codice a barre tatuato sul petto: “Due uomini non fanno una madre”, era lo slogan.
Parole che di scandaloso non hanno nulla – due maschi anche se uniti civilmente non possono aspirare a essere “madre”, è questione ovvia e naturale – e puntavano a denunciare non le unioni civili così care a Monica Cirinnà, paladina dei diritti universali ma prima addetta alla censura pubblica di tutto ciò che non è in linea con il suo pensiero radicale. Il messaggio era diretto, semmai, contro la pratica dell’utero in affitto, che fino a prova contraria è in questo paese ancora un reato: non si può pagare un utero terzo per fabbricarsi un figlio, come si trattasse di comprare al supermercato un cartone di latte pastorizzato. Chiara Appendino – la prima a scandalizzarsi e a far rimuovere i manifesti nella sua Torino – Raggi e Cirinnà avrebbero fatto meglio a guardare tutto il manifesto, in particolare l’hashtag #stoputeroinaffitto. Ma forse l’hanno fatto ed è stato proprio il vero scopo del messaggio a irritare la triade suddetta. Cirinnà, nella foga legislatrice, da tempo chiede norme per consentire le adozioni agli omosessuali e per rendere legale in Italia la maternità surrogata. Ogni obiezione al progetto non è ammessa, tacciata di essere retaggio medievale o di essere discriminatoria (terminologia, questa, in cui il politicamente corretto dominante si trova pienamente a suo agio). I manifesti, secondo le sindache, erano “omofobi”, ché ormai basta opporsi a Genitore 1 e Genitore 2 per finire confinati nell’angolo dei promotori e difensori di un “paese sottosviluppato”. Con tanto di minacce scagliate da frange neppure troppo minoritarie dei promotori supremi dei cosiddetti diritti.


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