Una scena del film Qualunquemente, 2011

Bentistà

Caffè, Keynes e i riformisti da bar. Coordinate per difendersi dai nuovi ciarlatani

Marco Bentivogli

Diffidare da chi recupera vecchie icone ideologiche e le mischia col complottismo. Servono persone che rifiutino ora e sempre una bugia in più per un applauso o un click in più

Siamo il paese che da anni non riesce a fare riforme e al contempo quello in cui l’autocertificazione di “riformismo” nel ceto politico ha assunto dimensioni di massa. Sappiamo che senza queste riforme il nostro paese sciuperà le risorse del Next Generation Eu. E sappiamo che il vento sta soffiando verso una convergenza delle forze politiche lontana dai conti con la realtà. La selezione dei gruppi dirigenti recupera le peculiarità imbonitrici che sono il balsamo per le corporazioni e il trionfo dei loro particolarismi.

    

Niente di nuovo. La cosa più inaccettabile è la confusione, fatta in malafede, tra le corporazioni urlanti e la volontà popolare. Che porta i contribuenti onesti a solidarizzare con gli evasori, mentre i legami sociali che fanno una comunità vanno in pezzi. La necessità di recuperare la dimensione profetica della politica è tradita da chi, come diceva Federico Caffè, “prospetta future palingenesi, soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto di richiamo”. Prima erano le ideologie storiche, ora è una mediocrazia talmente a secco di idee da recuperare solo vecchie icone ideologiche da mischiare col complottismo. Keynes non letto, dietro cui nascondere Marx (altrettanto poco esplorato), o le nuove frontiere di un ambientalismo antindustriale che conforta i benestanti radical in età avanzata, che non vogliono dell’Italia niente di più che il loro buen retiro.

    

E’ un doppio inganno che deve dare consapevolezza della loro forza ai veri riformisti. Sempre Caffè: “Egli è convinto di operare nella Storia, ossia nell’ambito di un ‘sistema’, di cui non intende essere né l’apologeta, né il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell’immediato e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del ‘sistema’. Essendo generalmente uomo di buone letture, il riformista conosce quali lontane radici abbia l’ostilità a ogni intervento mirante a creare istituzioni che possano migliorare le cose”. Un riformista è troppo abituato all’incomprensione, quali che ne siano le matrici, per poter rinunciare a quella che è la sua vocazione anti velleitaria.

    

Keynes, quello vero, scriveva: “Sono sicuro che il potere degli interessi costituiti è assai esagerato in confronto con la progressiva estensione delle idee. Non però immediatamente […] Giacché nel campo della filosofia economica e politica non vi sono molti sui quali le nuove teorie fanno presa prima che abbiano venticinque o trent’anni di età, cosicché le idee che funzionari di stato e uomini politici e perfino gli agitatori applicano agli avvenimenti correnti non è probabile che siano le più recenti. Ma presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in bene che in male”.

   

E’ solo questione di tempo, ma solo chi ha buona volontà si coalizza. Siamo un paese che applaude Draghi sul futuro, ma continua a spendere 8,5 miliardi di spesa previdenziale per pensionati under 65 (che lottano per la pensione anticipata e poi continuano a lavorare) e ne spende, male, altri 7 per la formazione. Se il collante a destra è “l’anti inciucio” e a sinistra è “dobbiamo fermare le destre”, come dice Ferrara, per un po’ va bene “il poco possibile”, ma il degrado è dietro l’angolo. Da lì si arriva a scambiare nomine, candidature con contenuti sbagliati e pericolosi per il paese; passato quel limite, vale tutto.

      

Le nuove lacerazioni del tessuto sociale generano incertezza e rabbia ma anche nuove passioni politiche, lontane però da chi crede che si possa puntare sulla crescita nel rispetto dell’ambiente in una prospettiva di umanizzazione. Passioni politiche che si sono fatte sistema, istituzione. Sarà anche un bene, non ne sono sicuro, ma la parola d’ordine “mischiamoci” sta privilegiando la selezione di contenuti e pratiche politiche che hanno già portato il paese al declino.

    

Servono persone che conoscano la sconfitta per saper vincere davvero, che abbiano preso i fischi senza intimorirsi, che rifiutino ora e sempre una bugia in più per un applauso o un click in più. Tarantelli diceva: “Ricordatevi, le persone alla fine capiscono sempre”. E aggiungo, ricorderanno chi li ha sempre ingannati e chi ha sempre rispettato la loro intelligenza anche dandogli torto, perché ne ha fatto della loro rappresentanza, la condivisione di un destino che fa grande un popolo.