Bentistà

Elite, fuori dalle bolle

Marco Bentivogli

La società signorile, il futuro di Roma e la riscossa che parte dalle periferie e dal Daspo ai corporativismi

    A Roma si inizia a parlare del futuro della città. Anzi no, si inizia a parlare delle elezioni di questa primavera e di conseguenza qualche ragionamento sul futuro della città viene d’obbligo. Come chi ha molti problemi e li vuole esorcizzare per non affrontarli, non pochi in città ricominciano a usare le tipiche espressioni “ma in fondo Milano cos’ha più di noi…”, “lì non ti senti mai a casa…”, “a Roma appena arrivi ti senti cittadino!”. La solita tiritera del fatalismo e del qualunquismo. Temo che sia la seconda puntata di quanto accaduto cinque anni fa, quando la Ztl si unì alla periferia scegliendo una proposta politica sintetizzata dal tristemente famoso “vaffa”. L’immondizia, i gabbiani che vi si nutrono – ormai sono giganteschi – i cinghiali: in realtà sono la parte meno preoccupante del degrado. E’ vero che il governo Conte 1 bloccò il piano sulle periferie, ma un po’ tutta la politica ha derubricato la questione.

     

    Fino agli anni 80 la periferia votava a sinistra e il centro a destra. Oggi la situazione è completamente capovolta. Il degrado della città è diffuso e il pezzo che non funziona è proprio quello più benestante. In realtà nella periferia degradata ci sono più occasioni di civismo vero, di big society (quella mal interpretata da Cameron) in cui gruppi di cittadini si organizzano perché vogliono bene alla loro città e intendono darsi da fare per arrestare il degrado. Gruppi di retake per il verde, volontariato sociale, associazioni per il trasporto pubblico. Di fronte a queste iniziative, si ha davvero la sensazione che viva in una bolla chi nega che l’integrazione con i migranti sia un fenomeno complesso e articolato, che l’immondizia rappresenti una minaccia non solo alla qualità della vita ma anche alla salute, e che non sempre si possa andare a lavorare in bicicletta. Le élite del centro vivono talvolta in un’oasi protetta, con scuole protette, senza grandi esigenze di mobilità. E per loro in fondo la vita cambia poco, qualsiasi amministrazione vi sia. Roma per loro è ancora romantica perché poco importa se c’è meno lavoro, se tutto è degrado, se non funziona nulla. Roma è per loro solo un buen retiro da valutare se ci sono buoni ristoranti, ottimi locali per aperitivi, un po’ di sport deluxe. Se le municipalizzate Ama, Atac, il servizio giardini, i servizi pubblici non funzionano, l’impatto sulle periferie è devastante in misura incommensurabile rispetto al centro. Basterebbe guardare: vi mostrerei la foto dell’ingresso di una sede Asl del Terzo municipio a via Dina Galli. O la sala d’attesa del reparto Chirurgia del Policlinico Umberto I. Nell’attesa della funivia, non è stata cantierata la metro D, la metro C va a rilento e per anni un gruppo di sfasciacarrozze abusivi è riuscito a bloccare la chiusura dell’anello ferroviario. Il collegamento con l’aeroporto si potrebbe allacciare alla rete (piccolissima) di metropolitane e fare in 15 minuti ma sarebbe troppo efficiente e sconveniente per i tassisti. Io proporrei una legge che obblighi a Roma ogni sindaco a completare una linea di metropolitana e a cantierarne una nuova. Ricordate la cura del ferro dell’ottimo Walter Tocci, della giunta Rutelli? Dei 100 chilometri quanti ne sono stati fatti? Ma che problema c’è? Bici e monopattino per tutti. Anche per gli anziani, anche per chi abita a 15 km dal centro? In periferia chiudono tutti gli esercizi commerciali, resiste solo qualche bazar cinese o negozi di frutta aperti sempre. Perché non raccogliere le sfide del nuovo lavoro (come propongo nel libro “Indipendenti”) e riaprire quegli spazi con degli SmartWorkHub, luoghi dove lavorare da remoto, ben connessi, confortevoli, con un buon ristoro, una piccola sala meeting o formazione? Perché il benessere di chi ha tutto a 15 minuti a piedi (lavoro incluso), non si può offrire anche a chi è in periferia? Le periferie più vissute sono più sicure, generano lavoro, socialità. Altrimenti restano dormitori da cui scappare e in cui tornare la notte. A Roma servirebbe una persona eletta con un consenso forte, ma non ricattabile ogni minuto da tutte le corporazioni romane (commercianti, tassisti, municipalizzate, alcune categorie di dipendenti pubblici, etc.). Servirebbe qualcuno come il primo Bassolino, accolto a Napoli con uno sciopero dei vigili urbani, immediatamente precettati. Qualcuno penserà “oddio detto da un ex sindacalista…”. Un sindacalista che difende la propria corporazione contro gli altri lavoratori e cittadini è un lobbista dei garantiti. Nella stessa notte di Capodanno, qualche anno fa, l’83 per cento dei vigili urbani era in malattia, mentre all’Ilva di Taranto l’assenteismo si fermò al 2,3 per cento. Se si difendono i primi si mortificano i secondi. E ricordiamoci che generalizzando si difendono i furbetti nella Pa, si mortificano gli operosi, che lavorano il doppio anche per i furbetti. Ecco, serve qualcuno che scomodi la Roma dei furbi e della rendita e risponda a chi vuole bene alla città e la vive tutta e ne paga le inefficienze, e mandi a quel paese chi ne è causa. Astenersi imbonitori, politici che danno ragione a tutti e che chiudono facilmente un occhio. Le corporazioni da un lato e i Casamonica dall’altro, i Tredicine, gli Spada hanno sporcato questa città di particolarismi ingessanti da un lato e di illegalità dall’altro. Serve, a Roma come nel paese, qualcuno che assuma come priorità: periferie e aree interne. Serve una élite meno Grande bellezza 2.0 che vive di chat, aperitivi e rendita. Serve qualcuno che voglia bene alla città, a tutta la città perché torni luogo di opportunità, di libertà, di relazioni. Il futuro di Roma si rilancia con una politica che risponda alle domande di Simone di Torre Maura, al suo “a me non me sta bene che no” in sfida al buzzurro fascista di CasaPound, mettendo insieme le esigenze delle persone come lui che la criminalità e il degrado non li vedono in tv e nonostante tutto non accettano che la rabbia e il disagio della comunità siano raccolti e strumentalizzati dai populisti o dai fascisti. Se riusciremo a far uscire le élite dalle bolle della società signorile, Roma tornerà bella, accogliente e civile.