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Bandiera Bianca

La pace non è un sogno: è un compromesso

Antonio Gurrado

Nel saggio “Pace” edito dal Mulino, Arianna Arisi Rota smonta le illusioni ireniche mostrando come la pace sia spesso il risultato di stalli brutali, restaurazioni artificiali e compromessi storici. Una riflessione su ciò che davvero tiene lontana la guerra

A proposito del Mulino, lo scorso anno la casa editrice bolognese ha pubblicato un aureo libretto, intitolato proprio “Pace”, in cui Arianna Arisi Rota passa in rassegna in modo molto equilibrato le diverse teorie in merito. Mi ha fatto scoprire così, fra le varie, due cose che ignoravo. La prima è una teoria di William Zartman, secondo cui si raggiunge la pace solo quando gli strumenti unilaterali per conseguire un vantaggio non funzionano più; significa che la pace non è un principio fine a sé stesso, una bandiera multicolore da sventolare garruli né un comodo chiacchiericcio per criticare l’andazzo del mondo nei salotti buoni, bensì la pragmatica presa d’atto di una situazione di stallo fra parti in causa che si vogliono comunque morte. La seconda è che la pace di maggior successo in Europa è stata quella sancita dal Congresso di Vienna, che garantì quarant’anni senza scontri fra grandi potenze (il Regno di Sardegna non era una grande potenza) identificando la pace con la tranquillità e la prosperità dei popoli; solo che, per ottenerle, aveva dovuto riportare artificiosamente indietro l’orologio della storia, far finta che l’ancien régime non fosse mai finito, e convincere paternalisticamente i popoli a vivere in un asfittico “come se”. Da ultimo, in effetti, questa lettura mi ha fatto scoprire anche una terza cosa: in una vignetta satirica francese del 1871, l’idillio pacifista, raggiunto senza porre un argine all’azione di chi attacca per primo in modo ingiustificato ma perseguendo l’ideale irenista di una pace fine a sé stessa, è raffigurato da un tizio che esulta suonando un corno, senza accorgersi di essere uno scheletro. Anche questo lo ignoravo, però lo sospettavo.

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