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bandiera bianca

L'experience del pacco

Antonio Gurrado

Nell’epoca della valutazione reciproca continua abbiamo smesso di essere persone. Siamo esperienze

Ho ricevuto un pacco. Per quanto mi renda conto che una notizia del genere non costituisce argomento di rilievo tale da costruirci un’intera paginetta virtuale, segnalo altresì che subito dopo la ditta del corriere mi ha mandato un messaggio chiedendomi di raccontare la mia esperienza.

 

Non so se qualcuno di voi abbia ricevuto un pacco. In tal caso, sarà familiare con la procedura; consiste nell’evenienza che un signore, o più raramente una signora, citofoni a casa vostra e, quando chiedete chi è, risponda: “Pacco”. A quel punto voi scendete fino al portone, dove trovate ad attendervi il pacco che vi viene consegnato brevi manu dall’anonimo latore; nei casi più complicati, c’è da apporre una firma prima di congedarsi. Un po’ poco, riconosco, per definirlo addirittura esperienza da raccontare; per quanto possa spremermi e sforzarmi, una narrativa del pacco risulterebbe ripetitiva e tediosa.

 

Perché dunque la ditta del corriere vuole elevare a esperienza un evento talmente quotidiano e insignificante? Per ammantare di straordinarietà il proprio servizio, certo, in quanto a consegnare un pacco sono buoni tutti, ma offrire una completa parcel experience è tutta un’altra cosa. Poi, credo, anche per consolarci di una certa vacuità esistenziale che ci prende nelle ore insormontabili della giornata, offrendoci, al posto dello squallore di qualcuno che citofona e dice “Pacco”, un’esperienza nientemeno, che attorno al pacco costruisce un sofisticato minuetto di aspettative e sottintesi. Infine, e soprattutto, per dirci educatamente che per la ditta conta solo e soltanto valutare la prestazione del signore o signora nel consegnarci il pacco; per ricordarci che, qualsiasi cosa facciamo, nell’epoca della valutazione reciproca continua abbiamo smesso di essere persone. Siamo esperienze.

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