(foto EPA)

Bandiera Bianca

I visori Apple dimostrano che c'è un limite al progresso tecnologico

Antonio Gurrado

Saluto con entusiamo la nuova invenzione dell'azienda di Cupertino, ma preferisco la realtà

Saluto con entusiasmo e sollievo l’avvento del nuovo visore di Apple, di cui ha parlato egregiamente Pietro Minto e che consentirà di sovraimprimere la realtà virtuale a quella consueta e squalliduccia. Sono felice di sapere che non lo userò. E non per ostilità nei confronti dell’oggetto, di cui anzi riconosco l’utilità, ad esempio per visualizzare il navigatore senza distogliere lo sguardo dalla strada, per compulsare statistiche in tempo reale mentre si è allo stadio, per stare tutti insieme sul divano a guardare ciascuno il cacchio che gli pare. Né sono refrattario al progresso: uso l’home banking, leggo i quotidiani da app, salgo su una bilancia smart, guardo solo tv on demand, pago i parcheggi da remoto, faccio lezione online, uso l’iPad come supertaccuino, chiedo cose a ChatGPT, ieri ho dedicato questa rubrica a TikTok, prendo ordini dall’iWatch e parlo sia con Siri sia con Alexa anche se non si parlano fra loro.

 

Arriva però nella vita di un uomo – credo sia la vecchiaia – un momento in cui il progresso scavalla la soglia di interesse e inizia a procedere per conto proprio, senza più venire inseguito a botte di adeguamenti. È l’ora del sollievo e dell’entusiasmo, quando si scopre di bastare a sé stessi. Per me, questo momento è arrivato col visore di Apple: so già che fra dieci anni tutti quelli più giovani (o giovanili) di me andranno in giro a occhi bendati per vedere meglio la realtà; io invece mi accontenterò di restare a occhi nudi, contento del progresso fino a cui sono arrivato, felice per gli altri ma lasciando che progrediscano solo loro, ancora immerso nel tentativo di far dire “Ehi, Siri” ad Alexa e “Ciao, Alexa” a Siri, anche se fingono di non conoscersi.

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