bandiera bianca

Dire che un orso è “recidivo” è un modo per esorcizzare la natura

Antonio Gurrado

JJ4 non ha ucciso un runner in Trentino perché ha deliberatamente optato per il male, né perché è padrone delle proprie azioni criminose, né perché sa di star reiterando un reato di aggressione già passato in giudicato

Può un orso essere “recidivo”, come titola oggi Repubblica in prima pagina? Qualche anno fa avevo segnalato qui un analogo titolo del Corriere, con analoga collocazione, su uno stambecco “leader”; l’avevo paragonato al celebre passo di Musil sul cavallo definito “geniale” perché vincitore di qualche corsa ippica. La notizia sull’orso recidivo aggiunge però ulteriori elementi di antropizzazione: la recidività presuppone un senso di consapevolezza e di responsabilità, quando non di libera scelta in senso morale. Tutte e tre caratteristiche aliene all’orso, e non per colpa sua: questo tristemente famoso JJ4 ha ucciso un giovane trentino né perché ha deliberatamente optato per il male, né perché è padrone delle proprie azioni criminose, né perché sa di star reiterando un reato di aggressione già passato in giudicato. Definire recidivo un orso è un modo per esorcizzare la natura, inventando la categoria dell’orso problematico perché chissà, magari da piccolo ha subito un trauma o non regge questa società così competitiva; un orso recidivo è come un orso accusato di concussione o di concorso esterno in associazione mafiosa. L’unica vera notizia da dare in questo triste frangente sarebbe stata questa: un orso ha ucciso un cristiano. Perché è un orso.

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