BANDIERA BIANCA

Quello che le sentenze non dicono

Antonio Gurrado

È arrivata la condanna per il signore che quattro anni fa ha pubblicato un catalogo delle donne singole della provincia di Lecco. Bene, finalmente. Ma quelle informazioni arrivano da Facebook: chi può fare mercimonio di dati e chi no? 

Certo, un uomo nero fa sempre comodo. Ragion per cui ieri il tribunale di Lecco ha condannato il signore che quattro anni fa aveva pubblicato e venduto in forma di ebook un catalogo delle donne single della provincia, copincollando i dati che aveva trovato su un social network che usano tutti. Ci tengo a ricordare che su questa paginetta virtuale già all’epoca dei fatti mi ero detto irritato dalla mercificazione, infastidito dall’ineleganza e soprattutto favorevole a una condanna e a un risarcimento per le donne coinvolte a propria insaputa in questa soperchieria. La condanna è arrivata – leggo sul Corriere – per trattamento illecito dei dati e diffamazione, che presumo derivino entrambi dall’utilizzo del termine “catalogo”: spoglio di ogni allure dongiovannesca, sa soltanto di mercimonio. Giusto.

 

Però c’è un però, ed è questo: il morboso lecchese aveva preso tutto, dati, foto, stato civile, contatti, pari pari da quel famoso social network che usano tutti; e le vittime avevano volontariamente pubblicato quella caterva di informazioni su di sé proprio perché si fidavano del social network che usano tutti al punto da non pensare che fra gli utenti potesse celarsi uno, cento, mille catalogatori folli pronti a mercificare i loro dati in un batter d’occhio. Parafrasando Rousseau, quando ci esponiamo sul social network che usano tutti corriamo liberi incontro alle nostre catene; e la sentenza di ieri, sotto sotto, lascia intendere che il mercimonio dei dati non può farlo l’utente ma solo il gestore del social network che usano tutti. Forse quindi, più che dell’uomo nero, c’è da aver paura dell’uomo blu.

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