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Regola numero uno: non dire mai quello che pensi

Antonio Gurrado

Cosa succede in Italia se uno studente, in un tema sulla scuola, critica i suoi compagni e il suo insegnante

Evviva, abbiamo un nuovo italiano! Si tratta di un ragazzino trevigiano reo di aver svolto un tema la cui traccia prevedeva, sotto forma di lettera a un amico, di raccontare la scuola dalla propria prospettiva. Ieri i suoi genitori sono stati condannati a pagare mille euro all’insegnante di italiano perché nel tema il ragazzino, dopo aver detto che i compagni erano viziati e lo vessavano, si scatenava auspicando il ricovero coatto della medesima insegnante (“sclerata”, “impazzita”) che a suo dire lo prendeva in giro pure lei. Bene, si è trattato di un compito altamente educativo. In un sol colpo infatti il ragazzino ha imparato che: in Italia, quando si scrive, è preferibile mentire; a scuola, quando si viene invitati a esprimere la propria opinione, bisogna sempre esprimere l’opinione che si aspettano gli altri; nella vita, non vince mai il debole che se la prende col potente ma il potente che si accanisce sul debole.

 

Soprattutto, poiché il contenzioso sul tema è durato tre anni, il ragazzino ha appreso che, nella giustizia, per arrivare alla soluzione di un caso è normale aspettare anche un quarto della propria vita, che per me sarebbe l’equivalente di restare in attesa di giudizio da oggi fino ai cinquant’anni e, per un settantenne, fino a che non ne avrà compiuti ottantasette e mezzo. Dicono che la scuola abbia il dovere di formare cittadini consapevoli; mi sembra che in questo caso ci sia riuscita benissimo.

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