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La "Befana" di Pavia che ci insegna che nulla può riempire la nostra sete di avere

Antonio Gurrado

Il tribunale ha interdetto una cinquantenne perché in pochi giorni ha speso trentamila euro in shopping

Senza offesa, quest’anno la mia Befana di riferimento è un’anonima cinquantenne pavese. Minuscoli trafiletti in cronaca hanno raccontato la sua storia ai confini dell’impercettibile: il tribunale l’ha interdetta perché in pochi giorni ha speso trentamila euro in shopping; l’ha riconosciuta affetta da dipendenza da acquisti e perciò l’ha affidata a un tutore che le amministri il patrimonio o quel che ne resta.

  

Che lo shopping sia una malattia è senz’altro una notizia ma più rilevante appare, ai miei occhi, che il tribunale abbia sorvolato sui lucidi presupposti dell’azione della donna. In un colpo solo costei ci ha dimostrato che: i soldi di per sé non servono a niente, il loro unico utilizzo possibile è disfarsene; gli oggetti che acquistiamo non hanno valore se non per il soddisfacimento compulsivo della brama di possesso; niente e nulla può riempire la nostra sete di avere, un pozzo senza fondo che si mangerebbe ben più di trentamila euro, figuriamoci. Tutte cose che sappiamo in teoria ma che, appena qualcuno ce le mostra in pratica, ci fanno gridare alla malattia. Forse ci spaventa, mentre ci barcameniamo, la prospettiva di scoprire che i nostri desideri si trasformano sempre in carbone.

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