Soldati bengalesi schierati durante l'attentato a Dacca (foto LaPresse)

Che cosa ci dice il cursus studiorum dei tagliagole bengalesi

Antonio Gurrado

Leggendo delle loro lauree, delle scuole d'élite e delle esperienze di studio, deduco che un elevato livello d'istruzione non libera dalla superstizione; che la religione non è appannaggio degli ignoranti; che studiare non porta alla tolleranza né alla benevolenza né alla pace.

Scolarizzazione non significa secolarizzazione. Isis o non Isis, il curriculum degli assassini di Dacca non rivela soltanto che eravamo degli illusi, quando pensavamo che il terrorismo islamico fosse figlio di miseria ed emarginazione. Il cursus studiorum dei tagliagole bengalesi mi spinge a trarre conclusioni di ampio respiro, contrarie alle nostre abituali interpretazioni consolatorie. Leggendo delle loro lauree, delle scuole d'élite e delle esperienze di studio all'estero, deduco che un elevato livello d'istruzione non libera dalla superstizione; che la religione non è esclusivo appannaggio degli ignoranti ma ha forza sufficiente a persuadere i colti; che studiare non porta necessariamente alla tolleranza né alla benevolenza né alla pace; che non c'è superiorità etica dell'istruito rispetto al non istruito.

 

Trovo conferma del fatto che le idee di Malala (“L'istruzione è l'unica soluzione; gli insegnanti possono cambiare il mondo; libri e penne sono le armi più potenti”) derivino dall'ottimismo di un'adolescente e non dalla lucida visione del mondo di un premio Nobel. Scorgo quanto sia velleitaria la pretesa che la scuola insegni dei valori, quando invece si possono insegnare soltanto nozioni, fornendo agli alunni criteri non prescrittivi e confidando nella capacità individuale di volgerli al bene anziché al male. Convengo che un dottore stronzo fa più danni di mille analfabeti innocenti. M'incoraggio a interpretare estensivamente l'intuizione di Montale, fino ad asserire che la scuola non è magistra di niente che ci riguardi.

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