Il discorso di Barack Obama all'Università del Cairo (Foto Wikipedia Commons)

Obama al Cairo: mea culpa e naïveté

Giulio Meotti

Nemmeno una parola sulla sharia e sulla discriminazione delle minoranze. Il presidente americano si è inginocchiato di fronte alle masse arabe

Solenne, grandioso, eccitante, roboante, epocale. Sì, ma in sostanza è mea culpa enaïveté. È doloroso vedere un presidente americano, per giunta il primo con geni paraislamici, inginocchiarsi di fronte alle masse arabe. Obama al Cairo non ha riservato una sola parola sul jihad, sul suprematismo islamico, sulla sottomissione dei non musulmani, sulla cultura dell’odio verso i diversi, i gay, gli ebrei, le donne, i cristiani, i pagani, gli yazidi, gli atei, gli scismatici, i miscredenti, gli apostati. L’idea di Obama per cui i jihadisti sono “una piccola ma potente minoranza” è un dogma ormai universale fin troppo facile da ripetere. Ci si aspetta di meglio da un presidente degli Stati Uniti. La litania sugli insediamenti israeliani, insufflata di equivalenza morale, non tiene conto del regno di terrore e morte instaurato ogni volta che Israele si è ritirato da un territorio (Libano 2000, Gaza 2005).

 

Perfino tragica l’idea di Obama sulla responsabilità dell’occidente nell’umiliazione dei musulmani (Kosovo, Bosnia, Kuwait, Afghanistan, Iraq, l'America ha liberato dai tiranni decine di milioni di musulmani, perché non una parola?). Non una parola neanche sulla sharia e sulla dignità lesa di milioni di esseri umani, a cominciare dal clitoride delle donne. Obama parla dei tremila americani “innocenti” uccisi una mattina di settembre di otto anni fa. Ma per una parte della umma a cui si rivolgeva dalla bellissima università del Cairo quelli non erano affatto “innocenti”, ma infedeli da abbattere. E’ fondamentale, in quanto Obama si appella ai musulmani per fermare la strage seriale e infinita di innocenti. Il presidente parla di “giustizia” e “libertà” a persone che hanno un concetto leggermente diverso dal suo. Forse la differenza sta nel fatto che i discorsi di Bush erano ispirati da Bernard Lewis e Fouad Ajami, quelli di Obama da John Esposito e Dalia Mogahed. Durante il discorso una donna grida “we love you”. Obama risponde: “Grazie”. Non c’è altro da aggiungere.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.