Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Oltre le sofferenze c'è di più

Non è colpa degli stress test. Indagine sulle falle delle nostre banche

Carlo Milani
Per dotazione di capitale, qualità dei prestiti e management il credito italiano rimane “ultimo” in Europa. Padoan: “Illeciti dei manager”.

Roma. La fuga degli investitori dai titoli bancari italiani non sembra arrestarsi. Gli stress test recentemente diffusi hanno rivelato che rispetto a due anni fa c’è stato un miglioramento, ma nonostante tutto l’Italia appare il fanalino di coda del già traballante sistema bancario europeo. Considerando la fotografia scattata alla fine del 2015, il coefficiente di patrimonializzazione, basato sui princìpi di Basilea III, vede le cinque banche italiane attestarsi complessivamente all’11,7 per cento, contro il 14,3 delle restanti 46 banche europee considerate. Dietro l’Italia si trovano solo le banche austriache, precedute solo di un decimo di punto. Per effetto dello scenario di stress ipotizzato fino al 2018 le cinque banche italiane scivolerebbero al di sotto dell’8 per cento, tra i livelli più bassi in Europa. Anche considerando il leverage ratio, la misura di patrimonializzazione non falsata dall’intenso uso dei modelli interni di valutazione del rischio adottati nel nord d’Europa, le banche italiane si attesterebbero al 3,5 per cento: valore molto prossimo alla soglia minima del 3 per cento prevista da Basilea. Dietro, in questo caso, si trovano solo banche irlandesi, tedesche, olandesi. I problemi delle principali banche italiane non finiscono qui. Alla dotazione di capitale tra le più basse d’Europa si associa una pessima qualità del credito. L’incidenza delle sofferenze bancarie sul totale dei finanziamenti verso imprese e famiglie sfiora il 24 per cento, contro una media di circa il 6 per cento per le restanti 46 banche europee. Dai dati dell’Eba risulta inoltre che le sofferenze verso imprese e famiglie su cui si possono vantare garanzie non superano il 45 per cento, valore non molto distante dalla media delle altre banche europee.

 

Non aiuta nemmeno guardare al tasso di copertura delle sofferenze, pressoché identico in Italia e nella media europea. Si potrebbe pensare che il quadro fin qui delineato sia il risultato della pesante recessione che abbiamo alle spalle, e che è ancora lontana dall’essere superata. Se così fosse, però, anche le banche estere operanti in Italia dovrebbero evidenziare tassi di sofferenza sul credito elevati. Le evidenze riportate dall’Eba ci dicono invece qualcosa di diverso. L’incidenza delle sofferenze delle dieci grandi banche estere operanti in Italia è in linea con quella media europea, cinque volte più bassa di quella delle banche italiane. Tale differenza non può essere tra l’altro attribuita a una diversa attitudine nell’erogazione del credito: dal 2011 le prime cinque banche italiane hanno ridotto i finanziamenti dell’8 per cento circa, le banche estere del 6. A cosa attribuire quindi le scarse capacità di selezione dei debitori da parte delle banche italiane? Dopo le recenti vicende processuali che hanno visto oggetto Veneto Banca – l’arresto dell’ex ad Vincenzo Consoli – appare chiaro che la risposta va ricercata nel capitalismo relazionale. In diversi casi i manager bancari hanno finanziato imprenditori, per svariati milioni di euro, non tanto sulla base della valutazione dei progetti industriali presentati, bensì sulla possibilità di poter vantare legami politici o parentali. Lo stesso Padoan, riferendo ieri alla Camera, ha evidenziato come i problemi derivino anche dagli illeciti compiuti dal management bancario. In definitiva, lo stato di salute del sistema bancario è tutt’altro che roseo. La situazione non è però del tutto compromessa e margini d’azione esistono. L’importante è però sfruttarli prontamente. Le critiche fatte da Renzi ai suoi predecessori sono condivisibili. Leggendo i numeri già tre/quattro anni fa si potevano individuare molti fattori di fragilità dell’industria bancaria italiana. Si decise però di rimandare interventi più ampi sul sistema bancario, anche per la loro impopolarità. Oggi che la situazione si è ulteriormente complicata non bisognerebbe procrastinare ancora azioni volte a mettere in sicurezza tutto il comparto bancario. Tamponare solo i buchi prodotti in Mps, mediante operazioni finanziarie complicate, costose e poco trasparenti, non farà infatti guadagnare molto tempo.

 

 

Carlo Milani, economista, direttore di BEM Research

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