La fusione che elimina i poteri forti

Giuliano Ferrara
Scoop del Foglio confermato: Rep. e Stampa diventano un unico gruppo. La Fiat molla i giornali italiani. Il Corriere resta in una situazione di non confortevole galleggiamento. Affinità elettive e scommesse sui nuovi lettori.

Si chiamano Wahlverwandtschaften ovvero affinità elettive, secondo il titolo di un famoso romanzo di Goethe. Il principe Carlo Caracciolo di Castagneto era il cognato di Gianni Agnelli, che aveva sposato sua sorella Marella. Il primo aveva fondato Repubblica con Eugenio Scalfari e la Mondadori nel 1976, e poi i due (Scalfari aveva il problema della dote per le figlie, così disse) vendettero le loro quote del gruppo editoriale “puro” Espresso-Repubblica a Carlo De Benedetti, che per un breve periodo confuso e tempestoso era stato amministratore delegato della Fiat. Il secondo, Gianni Agnelli, proprietario storico della Stampa, fondata dal senatore Alfredo Frassati, nei primi anni Ottanta aveva rilevato il ruolo di deus ex machina del Corriere della Sera a nome di un controllo sostanziale della famiglia sul patto di sindacato “cucciano” e con la collaborazione del banchiere cattolico Giovanni Bazoli: il tutto avvenne nella controversa circostanza dell’arresto e della ingiusta detenzione e del fallimento incipiente del giornalone milanese che era stato acquistato dalla famiglia Rizzoli (la storia della P2 eccetera). Repubblica e la Stampa furono giornali cognati, come in piccolo il Foglio e il Giornale già di Montanelli per un periodo (a ciascuno il suo, visto che i primi a sapere bene che cosa stava succedendo sono stati i lettori di questo giornale, grazie alle anticipazioni Cerasa-Masneri). Vent’anni fa a Scalfari succedette come direttore il direttore della Stampa Ezio Mauro. Qualche settimana fa a Ezio Mauro è succeduto il direttore della Stampa Mario Calabresi (auguri per il futuro a Maurizio Molinari, successore di Calabresi nel giornale di Torino). Anche il grande Paolo Mieli, prima di diventare un superstampista-corrierista, fu un promettente republicones. Le affinità elettive implicano certi andirivieni.

 

Ora il nipote prediletto dell’Avvocato, John Elkann, che ha preso il controllo dell’Economist con il gruppo Exor, si defila dal Corriere, anche perigliosamente, con possibili perdite, e mette il patrimonio editoriale italiano di famiglia (Stampa e Secolo XIX, il giornale di Genova) nella pancia del gruppo Espresso-Repubblica, assumendone una consistente quota di minoranza a fronte di una simbolica perdita della maggioranza assoluta, ma non del controllo, da parte di Carlo e Rodolfo De Benedetti. La Fiat molla del tutto i giornali italiani, che non interessano il suo nuovo percorso atlantico e globalizzato, in attesa di nuovi matrimoni industriali e finanziari (Fca cerca partner). Il Corriere resta in una situazione di non troppo confortevole galleggiamento, e si delinea nella prospettiva una sua integrazione polarizzata, si vedrà come, con il giornalone economico arancione della Confindustria, associazione padronale nel frattempo irrevocabilmente mollata dalla Fca di Sergio Marchionne. In un certo senso tutto resta come prima. In un altro senso cambia tutto.

 

Tutto come prima perché gli spostamenti progressivi di capitale proprietario, e la corrispondente girandola dei direttori e delle prime firme e dei vari gruppi Spotlight redazionali (da noi si chiamano con meno glamour “pistaroli”), si sono sempre mossi nel solco di una sostanziale non concorrenza. Le affinità elettive si sono sempre fatte sentire. Anche per testate e tradizioni diverse, con un maggiore o minore grado di omologazione delle opinioni (Repubblica è stata una caserma napoleonica, un quartier generale, Corriere e Stampa erano club capaci di ospitare il pluralismo, ma up to a point). Il gruppo Espresso-Repubblica aveva un’identità tribunizia, laicista e di sinistra, progressivamente sempre più politicamente corretta, ma fu capace di giocare De Mita e Berlinguer, due conservatori talentuosi e arcigni del sistema politico, contro Craxi che ne era il potenziale sovvertitore (e poi la ventennale grande alleanza antropologica e d’interesse contro il mostro dei loro incubi, Silvio Berlusconi, e la sua rivoluzione maggioritaria e pop). Il Corriere e la Stampa erano in teoria espressione di una borghesia industriale e finanziaria del nord, i famosi “poteri forti”, che aspirava a un’egemonia riformatrice moderata, e in parte conservatrice, sul sistema politico, economico e sociale, ma non si sono mai sottratti, almeno per le cose che contano, al monopolio culturale che finirà per imporre a tutto il sistema dei media le leggi dell’antipolitica sulla scia della presa di potere della magistratura militante (la campagna protogrillina sulla casta è solo l’ultimo degli episodi di non concorrenza che hanno avuto qualche seguito politico, per quanto effimero).

 

[**Video_box_2**]Cambia tutto perché i De Benedetti, in particolare il giovane Rodolfo, e gli Elkann, con l’amabile Carlo Perrone nella compagnia, mostrano sulla carta di avere un progetto più vitale, aperto su un ancora indeclinabile futuro, segnato da un ringiovanimento e da una mezza scommessa su un’Italia in fase di mezza ripresa renziana: gli Elkann, oltre tutto, internazionalizzandosi nell’establishment liberale mondiale del gruppo Pearson, i De Benedetti rafforzandosi come primo indiscusso polo editoriale italiano. Il problema di Repubblica sarà quello di salvare in qualche modo, superandola ma senza troppe scosse, la sua identità antagonista tradizionale, già messa in discussione dall’avvento a sinistra di una politica che non si fonda sulla correttezza politica maturata e marcita negli anni dell’antiberlusconismo militante e della subalternità alla casta delle procure d’assalto. Il Corriere, che resta l’autorevole imbarcazione editoriale capace di far convivere voci diverse, sia pure in un contesto giornalistico tremendamente omologante, dovrà definire il senso di un nuovo assetto proprietario, a tutt’oggi indefinito e opaco, e di una linea di sviluppo industriale che incontra, con la fusione De Benedetti-Elkann, qualche nuovo serio ostacolo (la Stampa è in posizione più defilata, sia per il suo radicamento territoriale piemontese, per quanto non in gran forma, sia per la sua apertura ai fatti e al mondo che è il tratto caratteristico della giovane direzione di Maurizio Molinari).

 

Ci saranno meno chiacchiere sui poteri forti, si spera. E chissà che la logica delle affinità elettive, nella nuova situazione di stampa & capitali di riferimento, non si attenui fino allo scandaloso e benedetto scenario di un sistema dei media in cui cane finalmente impara a mordere cane, e la caccia al lettore non riproduce la stupidità media dei lettori (me compreso, ça va sans dire). Chissà.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.