Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Torna il Cav. e dipana la matassa delle candidature a Milano e Roma

Lanfranco Pace
Nel capoluogo lombardo le storie politiche di Sala e Parisi convergono così tanto da annullare le differenze. A Roma termina la settimana del Carnevale delle candidature. Bene Mattarella ma non deve fare il regionale della tappa. Immancabile Sanremo dove, se il nostro fosse un grande paese, vincerebbero Elio e le storie tese o Patty Pravo. Il Pagellone alla settimana politica di Lanfranco Pace.

E' tornato Berlusconi e in tre giorni ha dipanato la matassa del centrodestra per le amministrative di Milano e di Roma (voto 10 e lode). Nell'insieme però non è un bel vedere. C'è ancora confusione a Roma. A Milano si conferma l'immagine della politica con il fiatone e molta paura di tornare in prima linea.

 

A MILANO GRIGIO CHIARO

 

Nelle primarie della scorsa settimana, una grande maggioranza di elettori del centrosinistra ha candidato a sindaco Beppe Sala (voto 8) : un successo per il presidente del Consiglio, suo principale sponsor.

 

Tre giorni dopo, la decisione del Cav., regale ma condivisa con gli alleati: Stefano Parisi (voto 8) sarà il candidato del centrodestra, terrà tutti uniti, Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia e pure Ncd starà al gioco, parola di Maurizio Lupi (voto 7) . Ma Alfano e gli alfaniani non erano quelli che vedevano nella Lega il pericolo  della deriva estremistica, populista e anti-europea? E Salvini a sua volta non è lo stesso che non ha perso occasione per picchiare come un fabbro febbraio sul ministro dell’Interno, insultandolo e chiedendone le dimissioni ogni due per tre? Accuse pesanti, incompatibilità di vedute, differenze di carattere, non bazzecole: tutto spazzato via, dimenticato, sembrano dire che è stato tutto una pantomima e che sono addirittura lieti di essere rientrati nell'alveo della coalizione tradizionale.  

 

Lo scontro decisivo dunque sarà tra due persone competenti, professionali, oneste, che possono vantare sul loro biglietto da visita titoli importanti - manager, direttore generale o city manager - l'uno a Expo e l'altro nella giunta Albertini, ma che con la politica c'entrano poco e nulla. Entrambi vengono dalla terra del non detto e della sfumatura, tra centrodestra e centrosinistra. Un Cav.  non si sa se fintamente sorpreso o realmente confuso pare abbia detto che la sinistra non poteva candidare Sala, “è uno dei nostri”. Parisi è stata la migliore risposta. Non si sono scambiate le maglie, non si è ancora alla fiera del calciomercato: Parisi non è di sinistra, garantito al limone. A forza però di convergere verso un centro che è solo un luogo geometrico che in politica non esiste, succede che le differenze svaniscano e tra i candidati ci sia la distanza di una cartina per le sigarette: l'alternativa Cinque Stelle è troppo inconsistente per fare campagna sul copia e incolla: Sala e Parisi, du pareil au meme. 

 

Di questo quasi azzeramento della politica, la responsabilità maggiore è di Giuliano Pisapia (voto 9 al sindaco e 4 al politico): si è un po' montato la testa rifiutando accomodamenti con il premier, convinto che i milanesi avrebbero dato importanza alla continuità e riconosciuto il lavoro di qualità della Giunta. Ha preferito sponsorizzare una collaboratrice palesemente non all'altezza anziché lavorare a una candidatura unitaria, solida e convincente. Peccato perché quando la politica fa il suo mestiere, anche all'estremo, c'è caso che venga fuori uno come Boris il rosso.

 

A ROMA MAGARI NO

 

A parte la lista civica di Marchini, in campagna da mesi, il primo ad aver designato il suo candidato è stato il centrodestra: Guido Bertolaso ha sciolto la riserva, correrà per Roma dando seguito alla proposta fattagli da Berlusconi. Viene così archiviata la settimana di carnevale in cui la signora Meloni (voto 4) ha tirato fuori dal cilindro una coniglietta Rita Dalla Chiesa (che non ha colpa alcuna quindi è s.v.) e il leghista collettivo ha risvegliato il fantasma di tale Irene Pivetti (voto 2 per come a suo tempo presiedette la Camera dei deputati). Che un centrodestra afasico e intorpidito sia riuscito a battere sul tempo il centrosinistra dice tutto sulla pertinenza delle primarie come strumento di selezione del ceto dirigente e molto sulla sindrome che sta colpendo il Pd.

 

Le primarie del centrosinistra si terranno il 6 marzo, i candidati alla candidatura sono sei, tre del Pd, i nomi più noti Giacchetti e Morassut con il primo nettamente in pole position, poi un rappresentante dei centristi, un Verde che fu anche animatore del popolo viola, e infine una ragazza affetta da autismo per attirare l'attenzione su quanto Roma sia ostile ai portatori di handicap.

 

PRIMARIE PIU' PURE

 

Ma non finirà il 6 marzo. Si pensa ad altre primarie nel quadro della sinistra, più “popolari” e più “di sinistra”. In campo Fassina, Tocci e, perché no, Ignazio Marino. Il sindaco sfiduciato non ha ancora accettato il suo fallimento, ha di sé la stessa alta opinione che aveva, si sente in credito con il destino e con la città: non ha chance di essere rieletto e la storia si sa non ripassa mai gli stessi piatti, ma troverà elettori poco svegli o molto incazzati in numero sufficiente per nuocere al candidato principale del centrosinistra.

 

E se non sarà Marino a rompere le uova nel paniere dem sarà Massimo Bray: D'Alema briga perché attorno all'effimero ministro della Cultura dell'effimero governo di Enrico Letta si aggreghino tutti i sognatori di un'altra sinistra, cioè quelli che vogliono seriamente azzoppare il bullo fiorentino. 

 

La sinistra e la sinistra-sinistra vivono il tempo delle primarie in una sorta di eccitazione democratica in cui riecheggia l'aria fritta, formule iniziatiche come riallacciare i rapporti con la città, formare comunità di cittadini che chiedono discontinuità nella gestione, cose così insomma. A dire il vero, più che voglia di comunità, in giro si coglie voglia di trasporti pubblici funzionanti, di strade pulite, di patrimoni immobiliari gestiti come dio comanda. Il bene comune dei romani non è complicato, è fatto di bisogni primari e quotidiani che in ogni altra capitale sono soddisfatti ma a Roma sono ancora un vasto programma.

 

L'ha capito Alfio Marchini (voto 8) che ha messo al centro di una sua eventuale governance la mobilità, la ricostruzione della rete pubblica dei trasporti. I Cinque Stelle hanno messo i trasporti insieme alla casa e al reddito di cittadinanza: spetterà ai cittadini indicare tempi e modi di attuazione nonché il nome del candidato sindaco, per il momento ai nastri di partenza ci sono due dei quattro consiglieri uscenti. In un movimento appena nato è strano non assumersi le responsabilità delle scelte, ci si nasconde dietro la volontà della rete come Ulisse sotto il montone per sfuggire a Polifemo e anche questo non fa bene alla buona politica. 

 

A ben guardare, Marchini è il solo che non vada verso il Campidoglio a marcia indietro. Anche Roberto Giachetti ha accettato di correre sia pure in parte per spirito di servizio. “Arfio” invece ama Roma, essere sindaco è la sua massima ambizione, si può scommettere che non sconfinerà mai nella politica nazionale. Per questo attaccamento generoso e un po' ingenuo ricorda lo scomparso Teodoro Buontempo, ‘er Pecora’ (voto 10): anche per lui fare il sindaco di Roma era il sogno, il coronamento della vita ma non fu mai preso sul serio, anzi fu dileggiato e schernito dai suoi stessi amici di Alleanza nazionale. Non c'è controprova ma sono convinto  che sarebbe stato un grande sindaco: il politico che non ha secondi fini e davvero vuole una carica elettiva, quando la ottiene, la onora al meglio mettendosi al servizio della comunità.

 

SERVIZIO TROPPO PUBBLICO

 

Ovviamente il massimo di voti et magna cum laude al presidente Sergio Mattarella che fa il suo lavoro con rettitudine e misura. Quando va all'estero però non dovrebbe comportarsi come il regionale della tappa, il ciclista che fa carte false per mettersi in evidenza quando pedala per la sua terra natale. Non c'è bisogno di sottolineare ogni volta la grande amicizia che ci lega al paese ospite né di ricordare i meriti riconosciuti all'Italia. Non c'è bisogno nemmeno di diretta televisiva, siamo i soli a intendere così l'informazione del servizio pubblico. E non c'è bisogno dell'accoppiata Gianni Riotta & Tiziana Ferrario, a onor del vero eccellenti professionisti, che hanno fatto la diretta dalla Columbia University parlottando basso basso, bisbigliando al microfono per non interferire con la voce del presidente.

 

SANTISSIMO REMO

 

[**Video_box_2**]Se fossimo un grande paese il festival lo vincerebbero Elio e le storie tese, perché non pretendono di darci lezioni né di trasmettere emozioni, fanno uno sberleffo e ci prendono per il culo e poi “energumena accarezzami lo sterno” è già un concetto da eternità.

 

Se fossimo un grande paese il festival lo faremmo vincere a Patty Pravo (voto 10 e lode) se non altro per averci regalato la canzone più bella dal dopoguerra a oggi (e 10 e lode a Vasco Rossi e pure a Gaetano Curreri e a Roberto Ferri che l'hanno scritta):“La cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me, bevi qualcosa, cosa volevi, vuoi far l'amore con me, la cambio io la vita che mi ha deluso più di te, portami al mare fammi sognare e dimmi che non vuoi morire”.

 

Ma siamo un paese così così. Allora vincerà una canzone usa e getta, intercambiabile, di giovani venuti su a lunghe meditazioni sul divano di casa che parleranno di amori spropositati e contorti che non hanno ancora vissuto.  

  • Lanfranco Pace
  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.