Stefano Parisi

Il perimetro di Milano

Parisi spiega perché candidarsi sindaco è una bella idea per tutti

Maurizio Crippa
Un centrodesta (ri)unito e alternativo a Sala e a Renzi. Per le riforme che la sinistra non riesce a fare, causa sinistra

Milano. Din, plin, bing. Non sono tutti di Matteo Salvini, credo, i messaggi che arrivano in continuazione sullo smartphone di Stefano Parisi mentre parliamo nel suo ufficio di Chili TV, alla Bovisa. Dalla presidenza della società che fornisce in streaming cinema e serie televisive si è dimesso ieri mattina. Salvini l’ha visto più tardi, in Via Bellerio. “Non ha idea di quante persone mi hanno scritto in questi due giorni, di tutti i tipi, gente che si mette a disposizione, gente che mi dice ‘non ho mai votato il centrodestra ma questa volta lo faccio’.  Milano è questa”. Prima mission: ricostituzione dell’ottimismo, se si può dire così. Che nel centrodestra in generale non è proprio alle stelle. Tanto che il sospetto che Forza Italia e la Lega potessero decidere di correre per perdere (come sembra vogliano fare a Roma, vedi editoriale a pagina tre) non era, fino all’altro giorno, così un sospetto. Parisi però, non solo per il carattere o per la comunicativa facile e immediata, non corre per perdere. Guai a pensarlo. Anzi è convinto che ci siano le condizioni politiche per farcela. Per lui e per la coalizione che si è rimessa insieme, “che è quella che governa in Lombardia”. I motivi dell’entusiasmo, e le prime idee di programma, ha già iniziato a raccontarli. Col Foglio, prova a chiarire perché la sua candidatura ha spazi di manovra politica e un modo di vedere Milano. Milano intesa come un modello per il paese.

 

“Io ho accettato la candidatura a sindaco di Milano perché in questo progetto c’è tutto l’appoggio non solo di Silvio Berlusconi ma anche di Salvini, c’è il sostegno di Fratelli d’Italia e di Ncd. Ovvero la ricostituzione di un’area politica moderata e del buon governo”. Ncd non è ciò che Salvini proprio non voleva? “La scelta della mia candidatura punta sul modello del centrodestra che comprende l’elemento moderato. Quello di Albertini e Moratti, quello della Lombardia. Salvini, su questo, è d’accordo. Il mio lavoro è per Milano, ma è un modello che guarda al livello nazionale”. L’altro spazio di manovra deriva dal suo posizionamento rispetto a Beppe Sala. Due figure più che speculari sul piano delle competenze, si è detto. “Ma con due debolezze importanti, per Sala. Primo, lui ha una coalizione divisa, una sinistra radicale con cui fare i conti e con cui dovrà scendere a compromessi. Serve tenere insieme un elettorato che tende a dividersi. Io ho una coalizione unita e un elettorato che certo va recuperato e rimotivato, quello che magari non vota più, ma che questo cerca. Se ci pensa, la difficoltà di Sala è la stessa di Matteo Renzi. Prendiamo il Jobs Act, o la scuola: Renzi ha dovuto annacquare, non è riuscito a realizzare se non poco di quello che ha promesso perché ha dovuto cedere alla sua parte politica, che non vuole quelle riforme. La nostra parte politica invece vuole farle, a cominciare proprio dall’occasione di Milano”. La seconda debolezza di Sala, per Parisi, riguarda in modo specifico Milano ma ha una ricaduta di visione nazionale: è il rapporto con Roma. La battuta gliel’ha fatta un amico, e non è male perché sintetizza un problema politico di ordine generale: “E’ meglio un romano che lavora per Milano o un milanese che lavora per Roma?”. Prendiamo due grandi partite del futuro di Milano, il dopo Expo e la Città metropolitana e il punto diventa chiaro. “Sul dopo Expo, la proposta avanzata dal governo (Human technopole - Italy 2040, ndr) prevede un ruolo centrale per l’Istituto italiano di tecnologia, un’eccellenza, ma di Genova”.

 

Prosegue Parisi: “Il sistema scientifico, universitario, di Milano è lasciato da parte, non valorizzato. Quanto alla Città metropolitana, che ormai è una realtà, rischia di produrre una centralizzazione di gestione e una concentrazione di poteri che sono il contrario di quel che serve, un sistema a rete agile ed efficiente, quello cui ci siamo sempre ispirati, già dai tempi di Albertini”. Il punto è che Sala dovrà perseguire queste logiche, che sono le logiche della sinistra renziana “ma che sono un modello top-down, diremmo in azienda, decisioni prese al vertice e poi trasmesse. Non è esattamente un modello di politica liberale: se in un modello liberale, e anche nel liberismo, ci credi, poi devi permettere che ci sia”. In più, c’è una componente della sinistra che rema contro l’innovazione. “Noi non abbiamo queste zavorre”.

 

[**Video_box_2**]Rimane il fatto che Beppe Sala ha già abbozzato un programma in cui spiccano la riqualificazione delle periferie, i piani di investimento infrastrutturali. Lei è stato city manager, è un imprenditore in settori di innovazione. Nessuno può pensare che lei sia “contro” programmi così. Ma questa è proprio la critica che arriva dal populismo alla grillina – destra e sinistra sono uguali – e da quell’altra forma di populismo che è l’astensionismo. Come farà il centrodestra di Parisi a dimostrare che la fine delle contrapposizioni ideologiche e il pragmatismo sono invece un bene, ma che voi potete incarnarli meglio di Sala e Renzi? Quali sono le idee guida per governare Milano, in grado di diventare buone idee anche per il resto del paese, di convincerlo? E’ un po’ di meno, ma un po’ di più, di un programma dei cento giorni: “Partiamo dalla buona amministrazione. Che significa? Un esempio. Nel 2000 cablammo Milano, una delle prime città in Europa. Ma ancora oggi il comune ha 130 banche dati che non comunicano. Sa cosa significa? Centri di potere, burocrazia, costi. Riformare l’amministrazione vuol dire far ripartire la macchina, ma anche liberare la società da pesi inutili, e portare i servizi dove servono. E’ l’uso dei metadati, che vale per la sicurezza o per i trasporti. Nelle aziende c’è, a Milano e in Italia no. Questa sì è una spending review intelligente: tagliare i costi burocratici, non le auto blu o gli stipendi, che è solo populismo. Bisogna ridurre il perimetro della Pubblica amministrazione e ridarlo alla società. Vedrai che così taglierai anche le tasse. Un’altra cosa è la sussidiarietà. Ho una visione liberale: meno pesa il pubblico, più il privato di qualità può contribuire a bene amministrare. Terza cosa, essenziale, la sicurezza. Non è questione solo di vigili in strada, è controllo del territorio e intreccio dei dati, è sapere cosa accade, ce lo insegnò Rudy Giuliani quando andammo a incontrarlo con Albertini”. Ma c’è anche la questione dell’immigrazione. “Rispondere alla domanda di sicurezza, a livello locale, significa che chi arriva deve, non ‘può’, integrarsi, con regole certe. Non la nostra sottomissione, ma la loro accettazione della nostra società. E’ questo che riporta la gente a votare, e che riporta nel campo del centrodestra le cose che la sinistra non sa fare”.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"