Massimo Ciancimino all'udienza del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo (foto LaPresse)

Trattativa, pizza e altre patacche. Torna in scena il processo Ciancimino jr

Riccardo Arena
Sulla performance nell’aula bunker dell’Ucciardone

Palermo. La pizza con Bernardo Provenzano è la sublimazione gastronomico-giudiziaria del processo sulla trattativa stato-mafia: una pizza, appunto. Chissà che gusto preferivano don Vituzzu Ciancimino e il suo amico Binu, nelle loro rilassanti puntatine serali nei locali delle amene e fresche borgate collinari di Palermo e Monreale, Baida e San Martino delle Scale, negli anni ‘80, mentre il piombo mafioso distribuiva sangue e lutti in tutta Palermo e per i boss era pericoloso esporsi, non tanto per il rischio di essere acchiappati dall’antimafia, ma per quello, ben più concreto e tangibile, di essere accoppati dalla mafia. Sì, Ciancimino e Provenzano, alias il ragionier Lo Verde, giravano indisturbati e sereni, con la prole al seguito, e parlavano del più e del meno, di stragi e politica, di gente da massacrare e di appalti da acciuffare, davanti a una bella e fumante pizza mangiata in montagna, dove – lo insegna la pubblicità – notoriamente il gusto ci guadagna. I pm, i soliti discreti, non lo chiedono, ma c’è da scommettere che qualche avvocato intrigante, irriverente o semplicemente birichino, nel controesame, si spingerà a sondare le preferenze dello Zu Bernardo, solleticando la memoria del superteste, Massimuccio Ciancimino. Margherita? Napoli? Oppure Diavola, Quattro stagioni o Capricciosa? Tipi di pizza che un po’ sono come le dichiarazioni di Massimo, mezzo pentito, mezzo testimone, mezzo imputato un po’ dappertutto, mezzo smentito, mezzo fasullo, mezzo attendibile, mezzo bombarolo, mezzo in galera, mezzo libero, mezzo povero, mezzo ricco, insomma mezzo e basta.

 

Eppure continua a tenere la scena del giudizio che dovrebbe riscrivere la storia d’Italia, ma che a quasi tre anni dall’inizio sta scrivendo solo pagine di noia mortale, dopo gli entusiasmi iniziali, le kermesse mediatiche, i talk show, le trasferte quirinalizie con popolazioni di cronisti spostate sul Colle e foreste di parabole e microfoni ad oscurare il cielo di Roma. La pizza con Provenzano è l’ennesimo episodio della Binu-story in salsa salottiera, che Massimo Ciancimino, imputato e superteste del processo, cucina e propina, cotta e mangiata, a beneficio di telecamera, tra una sofferenza e l’altra, fra la perdita del difensore storico, Francesca Russo (segno di grave ed eterna ingratitudine, visto che l’avvocatessa si era sorbita migliaia e migliaia di ore di interrogatori segreti, segretissimi eppure già sui giornali ben prima di essere resi) e Totò Riina che si stende in lettiga. Rieccolo, Ciancimino jr, col pubblico delle grandi occasioni a fare da spettatore alla sua prima performance nel dibattimento che si tiene nella storica aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo. A trent’anni dall’inizio del maxiprocesso, che segnò la storia vera dell’antimafia, sulla scena calcata da protagonisti come Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno sale, anzi risale lui, il figlio del corleonese che sedeva ai tavoli della mafia e della politica, quel Vito Ciancimino, sindaco per pochi giorni a Palermo eppure così potente, mortalmente potente, per tanti nemici, avversari politici o personaggi che gli stavano appena antipatici. 

 

[**Video_box_2**]Il figliol prodigo ricorda tutto meno che i delitti che di certo il papà ebbe ad ordinare o ad avallare. No, lui sa della pizza e dell’aria familiare che avvolgeva le visite del ragionier Lo Verde a casa Ciancimino, della latitanza indisturbata del predetto Bernardo da Corleone e dei pizzini gestiti e recapitati da lui, Massimuccio, all’Inafferrabile per antonomasia (43 anni di latitanza eppure era sempre dentro o dietro casa dell’amico Vito, hai capito?), portati come nelle cacce al tesoro e come nei film di Ncis che tanto piaceranno al ragazzo di casa Ciancimino, ventriloquo del papà, signorino Sotuttoio che figurati se non ti ripete che c’erano i soldi della mafia dentro Milano2 e trova un Ghedini che sente il bisogno di replicare. Ma non è tutto. A parte che ieri è stata solo la prima udienza, di chissà quante, dedicata alla maxideposizione, c’è un nuovo verbale, miracolosamente tenuto supersegreto, di Cianciminello. Parlerebbe addirittura di 007 e Servizi deviati. Un argomento che non ha mai battuto né trattato. Ci sarà finalmente la verità. I cronisti si scrutano dubbiosi per cercare di capire chi di loro ne sia già in possesso. Alla fine, c’è da scommetterci, la gara la vinceranno i soliti noti. Ma ad ora nessuno sa cosa ci sia dentro. Noi azzardiamo. C’è il menu della pizzeria o qualche conto ancora da pagare, trent’anni dopo.