Magistratura in palese fuorigioco sulla Xylella. Parla l'ex giudice Savino

Luciano Capone
“Sono rimasto sconcertato dall’iniziativa della procura di Lecce, è un classico caso di intervento a gamba tesa in un ambito non proprio”, dice Vito Savino, ex presidente del tribunale di Bari, sull'inchiesta sull’“emergenza Xylella” in Salento che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 10 scienziati e funzionari.

Milano. “Sono rimasto sconcertato dall’iniziativa della procura di Lecce, è un classico caso di intervento a gamba tesa in un ambito non proprio”. Vito Savino, ex presidente del tribunale di Bari e da pochi giorni in pensione dopo 50 anni di toga, parla dell’inchiesta sull’“emergenza Xylella” in Salento che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 10 scienziati e funzionari. Il giudice rievoca altre invasioni giudiziarie in campo scientifico, “come quando i magistrati continuavano a imporre le cure Stamina e Di Bella anche dopo che la comunità scientifica ne aveva rivelato l’inefficacia, costringendo il Servizio sanitario nazionale a far proseguire queste cure. Ma questi costi chi li paga?”.

 

In questa vicenda i costi sono potenzialmente molto più elevati, visto che la Xylella è un patogeno contro cui non ci sono cure, che può attaccare tante altre colture e diffondersi in Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo. “E’ una responsabilità epocale – dice il magistrato al Foglio – che dovrebbe essere in capo all’amministrazione regionale e statuale in accordo con l’Europa, purtroppo da quando è intervenuta la magistratura con il sequestro degli ulivi non si è fatto più nulla. Ma se davvero le eradicazioni fossero l’unico strumento efficace, bloccare tutto vuol dire esporre l’Italia e l’Europa a un rischio enorme”. Oltre al danno fitosanitario, c’è il rischio che i cittadini italiani si ritrovino a pagare una multa. “L’Europa sostiene la tesi dell’eradicazione e ha diffidato l’Italia per la mancata attuazione del piano – ricorda Savino – Se si arriva alle sanzioni chi paga?”.

 

La procura, basandosi sulle sue perizie, ritiene che le eradicazioni proposte dagli indagati in accordo con le istituzioni nazionali ed europee non solo sia inadeguata ma sarebbe lo strumento per una pianificata distruzione del paesaggio salentino. “Sul tema delle eradicazioni siamo nell’ambito della problematicità scientifica, la magistratura inquirente leccese sembra aver sposato la tesi di suoi esperti, mentre ci sono posizioni probabilmente maggioritarie a favore delle eradicazioni”. Questa è anche la linea dell’Europa: “Se l’Ue ritiene che l’eradicazione sia l’unico sistema, a quel punto si arriva a un conflitto istituzionale che sarebbe davvero sconcertante”. In mezzo c’è la politica, che tace o balbetta. Savino, che oltre 20 anni fa è stato per un breve periodo presidente della regione Puglia, sottolinea anche le responsabilità politiche del governatore Michele Emiliano: “Il presidente della regione si è trincerato dietro l’intervento della magistratura dicendo che ciò che decidono i giudici va bene. Invece non va affatto bene, perché ogni autorità deve assumersi le proprie responsabilità e deve applicare le misure che ritiene più opportune”.

 

[**Video_box_2**]Ciò che però è più rilevante in questa vicenda è secondo Savino lo scontro tra il metodo scientifico e quello giudiziario: “La procura ha i suoi esperti che però non si sa perché sono più esperti di altri, visto che il fior fiore degli scienziati internazionali la pensa in maniera opposta. Ma chi attesta qual è la posizione giusta? Non può farlo la magistratura, si tratterebbe di un’adesione da non-competenti in materie scientifiche”. Lo strumento penale inoltre comporta una limitazione della libertà di ricerca scientifica, che per natura si confronta in modo aperto e a livello paritario. “E’ come se alcuni scienziati imponessero una certa tesi e condannassero altri scienziati che sostengono tesi diverse. È una posizione molto pericolosa che non bisogna far passare sotto gamba ed è un’ulteriore dimostrazione di interventi in campi non propri”. La rivista Le Scienze e il Foglio, per riportare la discussione sul terreno proprio, hanno chiesto alla procura di rendere disponibili alla comunità scientifica le perizie tecniche ora secretate. E’ possibile? “In un’impostazione formalistica l’esternalizzazione delle prove avviene soltanto alla fine – dice il giudice Savino – ma dal punto di vista sostanziale e per il superiore interesse pubblico sarebbe opportuno che la procura facesse conoscere quali sono le motivazioni scientifiche che l’hanno portata a queste conclusioni”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali