L'abitazione di Vaprio d'Adda dove un ladro è stato ucciso dal proprietario della casa

I tic del tribunale del popolo di fronte ai casi di legittima difesa

Claudio Cerasa
Presunzione di colpevelezza, proprietà privata, ragioni dell’aggressore. Il caso di Vaprio D’Adda e il circo mediatico contro chi si è difeso da una possibile aggressione. Quello che si nasconde tra le righe del dibattito finora molto da saloon generato da una dal caso di Francesco Sicignano.

Ci sono due grandi temi che si nascondono tra le righe del dibattito finora molto da saloon generato da una notizia che tutti ormai conoscete: il caso di Francesco Sicignano, pensionato di Vaprio D’Adda, che tre giorni fa ha ucciso a colpi di pistola un uomo sorpreso a rubare nella sua casa. Le argomentazioni utilizzate da molti osservatori per valutare le conseguenze emotive del caso si sono articolate all’interno di uno spazio compreso tra due concetti: il diritto di ciascuno di noi di respingere, anche a colpi di pistola, un’aggressione ingiusta alla persona o ai beni e il divieto di farsi giustizia da sé e di confondere il concetto di difesa con quello di vendetta. Carlo Nordio, in un magnifico editoriale pubblicato ieri sul Messaggero, ha fatto un passo in avanti aggiungendo un ulteriore elemento di riflessione: in un caso di legittima difesa, il punto non è fin dove l’aggredito può reagire ma è fin dove lo stato può sanzionare. Detto in altri termini: lo stato può processare un cittadino vittima dell’incapacità collettiva a prevenire il crimine, e dunque, di fatto, vittima di un’inadempienza contrattuale dello stato stesso?

 

La questione è centrale ma non sufficiente per capire quali sono una serie di meccanismi che scattano quasi automaticamente nelle teste di chi osserva e commenta casi come quelli di Vaprio D’Adda. E qui torniamo ai due temi che anticipavamo. Il primo riguarda il diritto, il secondo riguarda l’empatia. In molti, in queste ore, hanno ricordato che i requisiti che rendono possibile la legittima difesa sono tre – la difesa deve essere necessaria, il pericolo dell’offesa deve essere attuale, la difesa deve essere proporzionata alla offesa. Ma accanto al rispetto delle regole esiste anche un problema legato all’interpretazione: la legittima difesa può essere estesa anche alla difesa della proprietà privata? La nostra giurisprudenza, pur avendo cambiato la normativa nel 2006, è ancora pasticciata e contraddittoria e l’interpretazione che viene spessa data dai giudici è diversa anni luce dalla prassi adottata in altri paesi europei. In Germania, il diritto di difesa (anche armata) è riconosciuto persino nel caso del ladro che fugge con la refurtiva. In Olanda, è prevista la non punibilità dell’eccesso di difesa qualora questa sia la conseguenza immediata di una violenta emozione provocata dall’aggressione. In Portogallo, la legittima difesa si applica nei confronti dell’aggressione a qualunque interesse giuridicamente protetto. In Svizzera, l’eccesso colposo è punito con una pena attenuata; ma se l’eccesso è dovuto a uno stato emotivo scusabile la colpevolezza risulta esclusa.

 

[**Video_box_2**]L’Italia, dunque, non solo è uno dei paesi in Europa in cui la difesa della proprietà privata non è una ragione sufficiente a giustificare la legittima difesa ma è anche uno dei paesi in cui capita con maggiore regolarità che il circo mediatico giudiziario di fronte a una notizia come quella di Vaprio D’Adda si muova con il classico tic della presunzione di colpevolezza verso chi si è difeso da una possibile aggressione. Il secondo tema, legato all’empatia, è delicato ma spesso è quasi automatico: il tribunale del popolo condanna colui che si è difeso contro un aggressore valutando non il contesto dell’aggressione quanto la vicinanza a ciò che la vittima rappresenta. Fino al punto da arrivare a smuovere nella propria coscienza un dilemma inconfessabile: l’aggredito avrà avuto le sue ragioni, ma una vera società progressista non può non chiedersi cosa abbia spinto l’autore del crimine ad arrivare fino a quel punto. Le polemiche surreali sulla sacrosanta legittima difesa del signor Sicignano, in fondo, si spiegano anche così.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.