Un gruppo di migranti sbarca sulla spiaggia di Kos in Grecia (foto LaPresse)

Il singhiozzo dell'uomo accogliente

Marco Valerio Lo Prete
Sulla crisi dei rifugiati siriani, e più in generale sulla gestione dei rinvigoriti flussi migratori verso l’Europa, le grandi reti televisive panarabe sembrano per una volta muoversi come un sol’uomo.

Roma. Sulla crisi dei rifugiati siriani, e più in generale sulla gestione dei rinvigoriti flussi migratori verso l’Europa, le grandi reti televisive panarabe sembrano per una volta muoversi come un sol’uomo. Di fronte alle drammatiche immagini di queste ore, con adulti e bambini inghiottiti dal mare nella traversata verso la Grecia e poi risputati sul bagnasciuga turco, Al Arabiya e Al Jazeera mettono per un attimo da parte le storiche divergenze sull’agenda dei propri palinsesti. La prima, con sede a Dubai (Emirati Arabi Uniti) e finanziamenti provenienti anche dall’Arabia Saudita, sostiene in un editoriale che “le scene di morte dei rifugiati rappresentano il fallimento morale dell’occidente”. La seconda, con sede e finanziamenti made in Qatar, se la prende con lo “scaricabarile” in corso tra stati europei e specifica pure che non userà più il termine “immigrato”, perché questo “spoglia le persone sofferenti della loro voce. Meglio il termine ‘rifugiato’ che almeno, in modo soltanto parziale, quella voce tenta di restituirgliela”. Sono analisi forti, colpevolizzanti dell’occidente recalcitrante nella fase di accoglienza, di quelle che si leggono e si ascoltano sempre più spesso pure sui nostri media. Eppure ragionare sulla fonte di tali intemerate non è esercizio futile; aiuta a contestualizzare quello che, per parafrasare Pascal Bruckner, assomiglia sempre più al “singhiozzo dell’uomo accogliente” europeo. Che accoglie gli immigrati, appunto, tra mille resistenze e difficoltà connesse a un fenomeno sociale tanto impetuoso, e però si autoflagella senza sosta.

 

Il contesto, dunque: se Al Jazeera si rifiuterà da adesso in poi di parlare di “migranti” per non sminuire la tragedia in corso e li chiamerà solo “rifugiati”, occorrerà pur dire che l’editore qatarino nemmeno di “rifugiati” vuole sentire parlare. Letteralmente. I cittadini qatarini infatti sono 243.000, gli abitanti oltre un milione e mezzo, e ciascuno di loro ha un reddito medio di 90.420 dollari americani l’anno (il triplo di quello italiano medio), eppure di rifugiati siriani il paese ne ha accolti zero. Che i siriani siano in larghissima parte arabi e/o islamici non rileva, apparentemente. Pure negli Emirati Arabi Uniti, dove il reddito medio è di 43.480 dollari annui, i rifugiati siriani sono zero. E anche in Arabia Saudita, dove gli abitanti sono circa 30 milioni, i rifugiati siriani rimangono sempre zero. E così in Oman, Bahrain e Kuwait. “Quello mostrato dai paesi del Golfo nei confronti dell’attuale crisi migratoria è un atteggiamento vergognoso”, dice al Foglio Rodger Shanahan, professore al National Security College della Australian National University, il più prestigioso ateneo di Canberra. “Questi paesi si rifiutano di firmare la convenzione Onu sui rifugiati, si rifiutano di risistemare un singolo rifugiato della loro regione nonostante livelli di ricchezza tra i più elevati del pianeta e nonostante utilizzino milioni di lavoratori stranieri. Sono dei free rider dell’umanitarismo”.

 

“Free rider”, in economia, è chi usufruisce di un bene pubblico senza pagare alcun prezzo per esso. I paesi del Golfo, infatti, da anni intervengono più o meno direttamente nella vita politica degli altri paesi arabi e islamici del medio oriente; nel corso delle primavere arabe, poi, il loro ruolo è diventato più visibile; nello specifico, in Siria, hanno finanziato varie fazioni di ribelli e terroristi anti Assad, continua Shanahan, soffiando sul fuoco della guerra civile (e grazie a loro non più propriamente “intestina”) che ha generato milioni di sfollati. “Il loro capo era un qatariota, si chiamava Faisal”, ha detto a Matteo Matzuzzi che lo intervistava per questo giornale Monsignor Antraning Ayvazian, capo della eparchia cattolico-armena di Qamishli (Siria orientale), descrivendo un gruppo di miliziani islamisti arrivati nell’area. E di aneddoti simili è colma la stampa internazionale. Tanta l’ingerenza, insomma, poca l’accoglienza. Amnesty International, alla fine dello scorso anno, denunciò pubblicamente l’atteggiamento dei sei paesi del Golfo che ad allora avevano accolto zero rifugiati siriani; ma sulla stampa, locale e internazionale, non ci fu nessun risalto. “Sono molte le ragioni di ciò – dice lo studioso australiano Shanahan, ex ufficiale dell’esercito di Sua Maestà – Storicamente, per esempio, non hanno mai accettato rifugiati dalla Palestina perché, dicono, ciò equivarrebbe a riconoscere la sconfitta subita per mano di Israele. Oggi invece non intendono diluire la loro composizione etnica, religiosa e tribale, e non si sentono sicuri della fedeltà dei rifugiati alle dinastie dominanti in questi paesi. Credono pure in una forma di ‘eccezionalismo’ secondo la quale la città è un diritto che si tramanda per nascita. E basta”. Poi però l’Arabia Saudita in questi anni di guerra civile siriana ha emesso un milione e mezzo di permessi speciali per i lavoratori domestici e il Bahrain ha fatto la stessa cosa.

 

[**Video_box_2**]Lezioni per l’Europa e l’Occidente in generale? “Dovrebbero essere orgogliosi di quanto fanno. L’Australia, per esempio, accoglie il terzo più alto numero di rifugiati al mondo”. E la Germania ha appena stimato che quest’anno riceverà 800 mila richieste d’asilo, annunciando allo stesso tempo che alcune norme comunitarie troppo restrittive non varranno per chi fugge dalla Siria. “Una pressione diplomatica sui paesi del Golfo affinché accettino rifugiati dalla Siria non farebbe un’enorme differenza in termini quantitativi, considerata la loro limitata scarsa capacità di assorbimento di stranieri – conclude Shanahan – Ma li renderebbe più consapevoli del costo umanitario ed economico dell’ingerenza nei paesi limitrofi”. E così sono sistemate le lezioncine moralistiche di Al Jazeera &co. Per l’Europa, invece, sapere che esistano ricchi free rider dell’umanitarismo non esime certo da responsabilità. Aiuta tuttavia a ricordare che i flussi di disperati, tendenzialmente, preferiscono dirigersi verso libertà, stato di diritto e mercati globalizzati. Sofferenze, incidenti ed errori sono di questo mondo. Ma battersi perciò il petto in quanto appartenenti a “una civiltà maledetta, destinata a scomparire, malata e infame a un tempo”, per citare Brucker, è una forma di contrizione inutile. E fuori luogo.