Il governatore della Puglia, Michele Emiliano (foto LaPresse)

Deportati e sussidiati. Una storia tutta italiana

Luciano Capone
Il neogovernatore pugliese Michele Emiliano propone di dare incentivi agli insegnanti che devono trasferirsi lontano da casa per lavorare

La storia dei precari della scuola che dovranno trasferirsi al nord per avere un’assunzione a tempo indeterminato sta prendendo una piega ridicola, dopo averne già preso una brutta quando si è iniziato a parlare di “deportazione” rievocando esperienze ben più tragiche dell’impiego statale a vita. Il governatore della Puglia Michele Emiliano, per esempio, propone di sussidiare i precari per convincerli ad accettare l’assunzione o per rendere il trasferimento meno traumatico. “Ci troviamo di fronte a una trasformazione epocale che stabilizza finalmente decine di migliaia di precari. Ma cambia loro anche la vita – ha detto in un’intervista a Repubblica – Ho ascoltato centinaia di nuclei familiari spaventati per quello che accadrà: madri che sono costrette ad andare mille chilometri lontano da casa per accettare un posto di lavoro. È un trauma non indifferente”.

 

La soluzione proposta dal neogovernatore pugliese, che da tempo si è candidato a guidare il fronte meridionalista, è quella di dare incentivi economici agli insegnanti “deportati” centinaia di chilometri da casa. Dopo le stagioni dei sussidi alle esportazioni, siamo ai “sussidi alle deportazioni”. L’idea rivoluzionaria di Emiliano, che dopo essere sceso in piazza con i professori per protestare contro la “buona scuola”, consiste nel “negoziare un sistema di aiuti per le famiglie dei docenti” tra regioni, governo e sindacati, “penso ad affitti agevolati nei luoghi dove i professori andranno a lavorare, penso a convenzioni con treni e aerei per raggiungere casa”. Non si tratta di lisciare il pelo a un numeroso e compatto gruppo d’interesse elettorale, è una questione di giustizia sociale: “Chi accetta di firmare un contratto da mille e 200 euro al mese a mille chilometri da casa, soprattutto quando avviene nel giro di pochi mesi per un meccanismo che dopo tanti anni cambia un sistema a cui queste persone si erano abituate, lo fa perché ha bisogno. E allora il mio compito è quello di provare ad aiutare chi ha bisogno”.

 

[**Video_box_2**]È di pochi giorni fa la notizia che tra il 2014 e il 2015 sono stati 57.600 gli italiani emigrati in Gran Bretagna, il 37 per cento in più rispetto all’anno precedente, persone anche queste con famiglia che si spostano di molti più chilometri in un posto di cui spesso non conoscono neppure la lingua e senza garanzia di un lavoro, né precario né stabile né pubblico. Sembra abbastanza assurdo dare sussidi a chi ottiene un posto garantito a vita, ma con questa storia delle “deportazioni” in molti hanno perso la bussola.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali