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Altro che concorrenza sleale. L'intervento dell'Authority su UberPop svela le storture del sistema italiano sui taxi

Luciano Capone
La rigidità e la restrizione dell’offerta di taxi e Ncc sono evidenti nella dinamica delle tariffe che tra il 2006 e il 2014, anni di profonda crisi economia, sono sempre aumentate più dell’inflazione, in alcuni casi più del doppio: "Questi servizi soddisfano la domanda della popolazione con reddito medio-alto, dell’utenza business e, in parte, quello legato al turismo".

Mancano pochi giorni alla chiusura di UberPop, il servizio che permette a qualsiasi privato di fare l’autista non professionista, decisa da un’ordinanza del tribunale di Milano per “concorrenza sleale” nei confronti dei tassisti. Uber ha perso un’importante battaglia, ma ha buone ragioni per vincere la guerra. Alcune di queste ragioni erano state esposte dall’Antitrust che nella sua segnalazione annuale per la legge sulla concorrenza aveva indicato al Parlamento di andare verso l’equiparazione tra taxi e Nnc (noleggio con conducente) e di aprire alle innovazioni tecnologiche, come Uber, che vanno incontro alle nuove esigenze degli utenti. Una posizione simile è stata espressa dall’Autorità dei trasporti con un “Atto di segnalazione al Governo e al Parlamento sull’autotrasporto di persone non di linea” inviato il 21 maggio, quindi prima della sentenza del Tribunale di Milano, che contiene una critica radicale dell’attuale sistema che regola il servizio taxi. Innanzitutto l’Authority segnala un problema di tariffe che dovrebbero essere dei massimali e non fisse, ma “non si segnalano politiche di sconto sul prezzo o fidelizzanti, se non in casi sporadici”.

 

La rigidità e la restrizione dell’offerta sono evidenti anche nella dinamica delle tariffe che tra il 2006 e il 2014, anni di profonda crisi economia, sono sempre aumentate più dell’inflazione, in alcuni casi più del doppio: “A fronte di un aumento medio dei prezzi del 15 per cento (dati Istat), a Roma le tariffe sono aumentate del 37 per cento, a Firenze del 29 per cento e a Milano del 23 per cento”, dice l’Authority, che sottolinea anche come a causa delle tariffe elevate “il servizio di taxi soddisfa principalmente taluni segmenti del mercato del trasporto locale non di linea: in particolare, quello della domanda della popolazione con reddito medio-alto, dell’utenza business e, in parte, quello legato al turismo”. Secondo una recente indagine del comune di Roma i cittadini che usano con una certa frequenza il taxi sono meno del 10 per cento, mentre oltre il 60 per cento non l’ha mai usato in vita sua a causa del costo elevato. Ciò vuol dire che quello che dovrebbe essere un servizio pubblico è in realtà, a causa della restrizione del mercato, un lusso riservato ai pochi che possono permetterselo.

 

Sono gli effetti di un sistema che non ha mai funzionato, basato sull’idea che la programmazione pubblica sia capace di analizzare le esigenze della domanda e di adeguare l’offerta delle licenze. “Ma nessuno l’ha mai fatto – dice al Foglio Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica alla Bicocca di Milano ed esperto di trasporti – i comuni dovrebbero monitorare l’andamento del mercato e incrementare le licenze. Per fare questo bisognerebbe avere i numeri, i dati, ma in Italia nessuno sa neppure quanti siano i taxi, pare tra i 20 e i 25mila, ma non esiste un censimento come negli altri paesi. E se non ci sono i numeri dell’offerta, figurarsi quelli della domanda. La realtà è che, per dirla con Einaudi, non conoscere è stata un’ottima scusa per non deliberare”. E infatti i dati di uno studio della Banca d’Italia del 2008 dicono che in oltre il 40 per cento delle città italiane sono trascorsi più di 20 anni dall’ultima assegnazione di licenze taxi e addirittura in 8 città non vengono banditi concorsi dagli anni Sessanta (oltre 50 anni fa). E questo nonostante l’esigenza di spostarsi sia nel tempo aumentata notevolmente, basti pensare che negli ultimi 25 anni il numero di passeggeri negli aeroporti delle grandi città è raddoppiato e in alcuni casi triplicato.

 

Nonostante l’aumento della domanda potenziale, l’offerta di taxi è rimasta bloccata, oppure quando sono state rilasciate nuove licenze, come a Roma, il comune ha “risarcito” i tassisti con aumenti tariffari del 20 per cento, tutto a discapito dei consumatori. E il fatto che il numero di taxi sia scarso è evidenziato dagli stessi tassisti che si lamentano del costo elevatissimo delle licenze, un prezzo che non rappresenta altro che i futuri profitti garantiti da un mercato chiuso. Questo sistema pianificato ha dimostrato da un lato l’incapacità del regolatore di determinare domanda e offerta e dall’altro la capacità dei tassisti di “catturare il regolatore”, riuscendo a limitare la concorrenza a scapito di concorrenti e clienti.

 

[**Video_box_2**]Questa situazione è di fatto stata superata dall’innovazione tecnologica, che ha reso obsolete leggi scritte quando neppure esisteva internet, e che ora obbliga a ridisegnare un sistema in maniera più flessibile, in modo da dare sulla base di un sistema autorizzativo la possibilità a quanti più operatori possibili di soddisfare in sicurezza le esigenze dei cittadini. In proposito l’Authority dei trasporti segnala che ai tradizionali servizi taxi e Ncc “si affiancano oggi sistemi basati sulla flessibilità e sulla condivisione di risorse ascrivibili alla sharing economy. Questi comprendono sistemi innovativi di mobilità, tra i quali il bike sharing, il car sharing, ed il car pooling (UberPop ndr)”. Questi servizi tecnologici per la mobilità (Stm) “consentono di intercettare una domanda di servizi di norma meno costosi di quelli offerti da taxi e Ncc. Ciò configura la creazione di un nuovo e specifico segmento del mercato della mobilità urbana non di linea rispetto a quello sottoposto a obblighi di servizio pubblico. La sua diffusione impone di riconsiderare l’adeguatezza degli istituti e delle categorie giuridiche sulle quali si è fondata sinora la regolazione della materia”, conclude l’Authority che propone anche alcune specifiche modifiche legislative in questo senso.

 

Ciò di cui bisognerebbe rendersi conto è che quando esistono un’innovazione tecnologica e nuove forme per soddisfare bisogni esistenti, la domanda e l’offerta sono in qualche modo destinate a incontrarsi, a prescindere da cosa prevedono leggi datate. E il punto è forse proprio questo, il diritto non dovrebbe avere la funzione ortopedica di raddrizzare la società che cambia, ma quella di regolare fenomeni economici e sociali che emergono spontaneamente. Così la pensano gli utenti che chiedono la libertà di scegliere Uber e le Authority della concorrenza e dei trasporti. Ma il volante è in mano alla politica.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali