Dolcenera, l'alluvione amara che travolge le donne del Pd in Liguria

Marianna Rizzini
Giusto la canzone di De André potrebbe fare da sfondo al caso di Raffaella Paita, candidata alla presidenza della Regione non soltanto tallonata, finora, dalla concorrenza interna, ma adesso anche iscritta nel registro degli indagati, in qualità di assessore alla Protezione Civile, per il “mancato allarme” nella notte dell’alluvione dell’8-9 ottobre 2014.
Roma. “Nera che porta via che porta via la via

nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera

nera che picchia forte che butta giù le porte… / nera di malasorte che ammazza e passa oltre …/ …acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti

acqua per fotografie per cercare i complici da maledire

acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti…/…acqua che ha fatto sera che adesso si ritira

bassa sfila tra la gente come un innocente che non c’entra niente

fredda come un dolore Dolcenera senza cuore …”.

 

 

E giusto la “Dolcenera” di Fabrizio De André, canzone bellissima e tristissima su un’alluvione a Genova, potrebbe fare da sfondo, in queste ore, al caso di Raffaella Paita, candidata pd alla presidenza della Regione Liguria non soltanto tallonata, finora, dalla concorrenza interna (candidatura del civatiano Luca Pastorino), ma adesso anche iscritta nel registro degli indagati, in qualità di assessore alla Protezione Civile, per i reati di concorso in omicidio colposo, disastro colposo e omissione, nell’ambito del cosiddetto “mancato allarme” relativo alla notte dell’alluvione dell’8-9 ottobre 2014, notte in cui il torrente Bisagno uscì dagli argini, causando la morte di un pensionato ex infermiere, Antonio Campanella. Paita si è difesa, ha detto che l’allerta meteo e i provvedimenti conseguenti sono “normativamente di competenza della struttura tecnica e non competono in alcun modo agli assessori”, e ha detto anche di averla sollecitata, “la parte tecnica”, quella notte. Ma, come si dice non a Genova ma a Roma, in qualche modo “le chiacchiere stanno a zero”, a questo punto, quanto a ricasco mediatico nel panorama confuso della Liguria infelix per le donne di centrosinistra. Ecco infatti subito un Beppe Grillo in picchiata che dice “Paita ritirati” e parla di ipotetici “cinesi” alle primarie (ma nei giorni dell’alluvione 2014, mentre era in corso la festa dei Cinque Stelle al Circo Massimo, a Roma, anche a Grillo toccò il disprezzo mediatico dei suoi concittadini: perché sei lì sul palco e non qui a spalare con noi?, avevano detto).  Ed ecco subito gli avversari politici di Paita (come Giovanni Toti da Forza Italia) a dire che comunque, fermo restando il garantismo, “Paita ha responsabilità politiche”.

 


Raffaella Paita


 

Liguria infelix, dunque: capitò infatti anche all’ex sindaco Marta Vincenzi, pd pure lei (ma per nulla renziana), di trovarsi invischiata, nel preludio delle primarie per la corsa al Comune e nei giorni successivi a un’altra alluvione (autunno 2011), in un’indagine per presunto reato di “falso” (secondo l’accusa ideato per coprire ipotetici errori nella gestione della catastrofe), e poi per omicidio colposo, essendo il sindaco anche responsabile della Protezione civile. Vincenzi, nelle ore convulse della tragedia (tre defunti), aveva detto parole incaute forse dettate dallo choc (“molte persone si sono messe in pericolo da sole”), facendosi vedere in tv con lo sguardo perso, travolta dalle critiche, fradicia di pioggia, statua di cioccolato che si scioglie sotto il temporale, e pagando poi il conto politico alle primarie, vinte dallo sfidante outsider Marco Doria. Aveva allora paragonato la sua sorte a quella di Ipazia, astronoma pagana linciata da una folla inferocita di cristiani nel quarto secolo dopo Cristo, e se l’era presa con Doria (“predicatore dell’anticasta”) nonché con gli intellò ingrati. E, prima di ritirarsi a vita privata in una turris eburnea di orti biologici, aveva scritto un memoriale sulle sue vicissitudini politico-mediatico-giudiziarie (“In attesa di giudizio”, ed. il Melangolo), in cui ripercorreva minuto per minuto tutti gli eventi dall’alluvione 2011 in poi, aiutata da un anonimo tipografo suo paladino e arrabbiata con i colleghi di un Pd ai suoi occhi poco generoso nei suoi confronti e anzi intento a tramare. (A Paita da questo punto di vista sembra per ora andare meglio: ieri il Pd ligure le ribadiva “fiducia”, e il segretario di partito e premier Matteo Renzi ripeteva di non voler abbandonare gli amministratori sul territorio). Non per niente oggi Marta Vincenzi, pur non essendo fan di Raffaella Paita, dice che le “dispiace tantissimo” per Paita, che Paita “se è forte delle sue ragioni, deve andare avanti”, e che lei, l’ex sindaco Vincenzi, “ci sta passando”, ed è una cosa “da non augurare al peggior nemico”, e che però prima o poi bisognerà aprire un dibattito sulla distinzione tra ruoli tecnici e politici, e sul principio di prevenzione.

 

E te le vedi lì in piedi, Vincenzi e Paita, diverse correnti politiche e stessa sorte, traballanti per il colpo di coda giudiziario della Dolcenera senza cuore, “fredda come un dolore”.

 

 

 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.