Disastro giudiziario

Carlo Giovanardi
Ustica: esegesi di un risarcimento monstre in sede civile che non ha mai considerato quanto scritto nelle sentenze penali.

Il 27 giugno del 1980 sul cielo di Ustica precipitò un DC9 dell’Itavia e non ci furono superstiti fra le 81 persone a bordo.
Trentatré anni dopo, il disastro aereo si è man mano trasformato in un disastro per la giustizia italiana, che, ancora oggi, ha in corso procedimenti penali e civili riguardanti la ricerca dei responsabili dell’accaduto e la pagina dei risarcimenti.
Prima di entrare, però, nel merito di queste questioni, è bene sottolineare gli aspetti positivi dell’intervento dello stato italiano, che si è attivato per indennizzare i familiari delle vittime, con provvedimenti poco conosciuti dall’opinione pubblica. A ogni famiglia delle persone decedute sono stati assegnati 200 mila euro con una speciale elargizione dal costo complessivo di 15 milioni e 800 mila euro. I 141 familiari superstiti godono inoltre dal 2004 di un assegno mensile attualmente di 1.864 euro netti, con perequazione automatica, che sono costati sinora allo stato 31 milioni di euro. Nel 2015 la spesa prevista è di 3 milioni e 300 mila euro e, poiché si tratta di vitalizi, le previsioni di spesa per questa operazione ammontano complessivamente a più di 60 milioni di euro. La legge prevede inoltre ulteriori benefici pensionistici e previdenziali per i familiari delle vittime Tutto questo avviene naturalmente a prescindere dalle cause che provocarono la caduta del DC9. Su queste cause è ancora aperta (ed è di grande attualità) una pagina schizofrenica della giustizia italiana.

 

Il giorno 10 gennaio 2007, infatti, la Cassazione penale assolveva definitivamente i generali dell’Aeronautica militare accusati di depistaggio (avevano rifiutato di usufruire della prescrizione), confermando quanto stabilito in Corte d’Appello che, a pag. 114 della sentenza, con riferimento all’accusa – rivolta a un imputato di aver dato l’ordine di occultare, onde evitare conseguenze internazionali, la presenza di due plot (tracce radar) nel grafico tracciato dalla regione Informazioni volo – aveva scritto testualmente: “Non è chi non veda in essa (accusa) la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale”. Inoltre, a pag. 48 della stessa sentenza, il giudice aveva affermato che: “A differenza delle altre parti processuali che hanno accettato comunque la decisione di questa Corte, qualche familiare delle vittime ha definito una vergogna l’assoluzione, oppure ha accusato la magistratura di non aver voluto accertare fino in fondo la responsabilità dell’accaduto. La Corte era ben conscia dell’impatto negativo di una ulteriore sentenza assolutoria anche nei confronti dei due generali, ma a fronte di commettere una ingiustizia, perché tale sarebbe stata la conferma della sentenza o una condanna, andare contro l’opinione pubblica non costituisce un ostacolo. In quel caso, allora, si sarebbe trattato di una vergogna, perché si sarebbero condannate o ritenute responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova…”. Così come, a pag. 11 della sentenza della Corte di Cassazione, si è affermato che, a seguito dell’istruttoria formale e del dibattimento penale, “è stata acquisita una importante massa di dati, dai quali per altro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi dell’accusa”, cioè della tesi della battaglia aerea. Infine: i giudici di Assise in Appello a pag. 116 della sentenza affermano che “tutto il resto, non essendo provato è solo frutto della stampa che si è sbizzarita a trovare scenari di guerra, calda o fredda”. Inoltre, nel processo penale (un milione e 750 mila pagine di istruttoria, 4.000 testimoni e 277 udienze), dopo che, con grande sforzo finanziario, era stato recuperato in fondo al mare più del 90 per cento dei resti del DC9, il collegio peritale internazionale – formato da 11 personalità tecnico-scientifiche, le più qualificate in Italia e nel mondo tra cui due inglesi, due tedeschi e due svedesi – concludeva, dopo quattro anni di lavoro, che una bomba scoppiata nella toilette di bordo era stata la causa del disastro (da ricordare che detto collegio, per volontà di due giudici istruttori, aveva sostituito un altro collegio – solo nazionale – per i suoi risultati contraddittori). Mentre il processo penale nel 2007 si concludeva così, nel frattempo a Bronte, provincia di Catania, il Goa (giudice onorario aggregato), avvocato Francesco Batticani, firmava in data 25 luglio 2003 una sentenza civile, depositata poi a Roma, secondo la quale la causa dell’abbattimento sarebbe stato un missile, sentenza monocratica che non teneva in nessun conto gli sviluppi del processo penale. In Appello, la sentenza Batticani fu annullata ma la Cassazione a sua volta l’annullò con rinvio, che condannò i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture a liquidare 108 milioni di euro alla società Itavia.

 

Sulla scia della “sentenza Batticani”, la prima sentenza civile definitiva è stata quella emessa il 28 gennaio 2013, con la quale è stata accolta la sentenza di secondo grado del tribunale di Palermo del 14 giugno 2010 a favore di alcuni famigliari delle vittime. La terza sentenza passata in giudicato in Cassazione civile riguarda invece gli eredi dell’amministratore delegato dell’Itavia, rinviata in Appello soltanto per la determinazione del quantum di risarcimento che lo stato deve versare. Anche le due predette sentenze non hanno tenuto conto della probante e ampia documentazione acquisita nel processo penale, quando scrivono che sarebbe “abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile”, senza neppure lontanamente spiegare dove e come. Rilevando peraltro che, nella dinamica delle tre sentenze civili passate finora in giudicato (familiari vittime, Itavia ed eredi dell’amministratore delegato della compagnia), esiste ricca testimonianza di cui non si è mai tenuto conto della sentenza penale: o perché richiesta al tribunale penale competente e non da questo reso disponibile, oppure ancora presentata in ritardo e non più ammessa, oppure confusa con una vecchia sentenza ordinanza del giudice Rosario Priore nell’ambito del processo penale.

 

Ma cosa rende possibile che, oltre ai 60 milioni di euro di indennizzi, lo stato si trovi a pagare altre centinaia di milioni come risarcimenti? La risposta è semplice: se si fosse trattato di una bomba, come hanno stabilito incontrovertibilmente le perizie tecniche, la responsabilità di non aver vigilato a Bologna avrebbe coinvolto anche la società Itavia; mentre, secondo le sentenze civili, se la causa è stata un missile, lo stato avrebbe avuto il dovere di prevedere e prevenire quell’evento. Ecco allora che fin dall’inizio di questa tragica vicenda l’immaginario collettivo venne alimentato da racconti romanzeschi suggestivi irrobustiti da evidenti depistaggi, come quelli del medico calabrese che si inventò la bufala del Mig precipitato sulla Sila il giorno stesso di Ustica, non venti giorni prima, come in realtà accadde, e per questo venne condannato due volte a Crotone e sconfessato platealmente in Commissione stragi quando ammise di aver mentito per favorire il risarcimento all’Itavia. Addirittura poi l’avvocato Daniele Osnato, che tutela alcuni familiari delle vittime, ha più volte sostenuto che la strage di Ramstein del 1987, dove lo scontro in volo di due aviogetti delle Frecce tricolori provocò la morte di 59 persone (e 368 feriti), sia stato dolosamente provocato dai vertici dell’Aeronautica per eliminare due testi scomodi che nel 1980 avevano incrociato il DC9 Itavia sull’Appennino Tosco-emiliano mezz’ora prima della sua caduta.

 

La follia di questa fantastica tesi è stata chiaramente spiegata nel novembre del 2014 dal col.onnello Alberto Moretti, ex comandante delle Frecce tricolori, amico e collega dei due piloti deceduti a Ramstein, in volo con loro il 27 giugno del 1980, nel corso di un convegno organizzato dalle associazioni aeronautiche civili e militari alla presenza dei due dei più grandi esperti mondiali di incidenti aerei, l’inglese Frank Taylor e lo svedese Ljlia che, in quell’occasione, ha presentato il suo ultimo libro su Ustica: lo stesso Moretti ha infatti raccontato di essere stato ascoltato più volte dai giudici senza che nessuno abbia mai pensato di eliminarlo come teste scomodo.

 

Così a tutt’oggi su questa vicenda abbiamo, da un lato, una formidabile documentazione tecnico scientifica sullo scoppio di una bomba a bordo, dall’altro il “Batticani-pensiero” che viene ribadito da sentenza civile in sentenza civile.

 

Addirittura l’avvocato Daniele Osnato ha depositato in uno di questi processi nel mese di dicembre del 2014 quello che l’agenzia Ansa, il 18 dicembre 2014, qualificava come un autorevole studio del dipartimento di Ingegneria aerospaziale di Napoli a favore del missile, che in realtà non è altro che la conclusione di un incarico che lo stesso Osnato ha affidato al prof. De Marco per una simulazione di caduta di aereo, nella quale peraltro non si parla di un missile come causa della sciagura aerea.

 

Ma come è possibile che su Ustica continuino a nascere ancora oggi nuovi processi civili? Secondo l’interpretazione della magistratura di Palermo, la prescrizione decorre infatti soltanto dal momento in cui i familiari abbiano avuto conoscenza che la causa del disastro sia stata un missile.

 

Arriviamo così al paradosso che le ultime due beneficiate da questa tesi, le signore Maddalena e Antonina Calderone, abbiano ottenuto in primo grado 100 mila euro a testa, su un milione che avevano chiesto, anche se nate nel 1982 e 1983, figlie di secondo letto di Carmelo Calderone che nel giugno 1980 aveva perso nell’incidente aereo la moglie Maria Vincenza.
Ma nessuno si era mai accorto di queste anomalie, in un paese dove in Parlamento non si trovano neppure i fondi per estendere ai focomelici nati un anno prima o un anno dopo i termini fissati per legge i risarcimenti per i danni derivanti dal talidomide?

 

[**Video_box_2**]Per la verità l’Avvocatura di stato, con il consenso dei ministeri della Difesa e delle Infrastrutture, aveva proposto nel 2013 l’autorizzazione a chiedere la revoca delle sentenze civili, in quanto totalmente difformi da quanto appurato dalla Cassazione penale e nate appiattendosi sulla decisione del citato giudice onorario aggregato presso il tribunale di Roma, Francesco Batticani, cioè un avvocato che svolgeva un compito di supplenza della magistratura ordinaria. Fu allora il Presidente del Consiglio Enrico Letta a bloccare questa iniziativa, rendendo noto che “il Governo non ha intenzione di impugnare per revocazione la sentenza definitiva” e motivando la decisione da ragioni giuridiche ma “soprattutto per ragioni di ordine etico, per il dovuto rispetto alle vittime e ai loro familiari”. C’è da sperare che l’on. Enrico Letta non sapesse dei 60 milioni di euro già stanziati per gli indennizzi, dell’assalto alla diligenza per risarcimenti da parte di società che non c’entrano nulla con i familiari, di familiari che proprio familiari non sono, pagando il prezzo del discredito internazionale che l’Italia sta subendo nel mondo ben riassunto dalle amare parole pronunciate da Frank Taylor al termine della puntata di National Geographic dedicata a Ustica: “Per me è un mistero perché la magistratura non abbia seguito le logiche conclusioni del nostro lavoro di periti. Nessuno in Italia ha mai cercato di capire perché e chi ha messo una bomba su quell’aereo”.

 

E ciò per non ricordare quanto presente nella versione originale in lingua inglese dello stesso documentario, ove si afferma che l’Italia è un “orribile” posto ove possa avvenire un incidente aereo, per poi precisare ancora che “Se vuoi la verità questa va accertata con le stesse modalità utilizzate in tutti gli altri paesi del mondo”.

 

Da noi invece si continuano a diffondere infamanti accuse nei riguardi dei vertici dell’Aeronautica militare che hanno sopportato con dignità e silenzio il loro calvario processuale dipingendoli come traditori al servizio di interessi stranieri, facendo finta di non sapere che in lettere personali inviate all’allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato, il presidente della Francia Jaques Chirac e degli Stati Uniti Bill Clinton ricordavano rispettivamente “le 14 risposte alle rogatorie italiane e la cooperazione piena ed intera” (Chirac) e di “aver fornito tutte le informazioni nella conferma della mia convinzione che non vi sia stato alcun coinvolgimento americano di nessun tipo nel disastro del DC9 Itavia” (Clinton).

 

Vorrà infine dire qualcosa che, malgrado il ripetersi delle accuse mediatiche e giudiziarie nei riguardi di Francia e Stati Uniti ed i solenni appelli istituzionali ad ogni anniversario sul dovere di cercare la verità su Ustica , nessun presidente del Consiglio italiano, per amor di Patria e per non cadere nel “ridicolo”, non si sia più rivolto personalmente ai vertici dei due paesi amici per richiamarli in causa, così come non ha spiegazione il fatto che non si sia mai reagito all’offensivo silenzio libico in materia di rogatorie internazionali e di appelli rivolti direttamente al colonnello Muammar Gheddafi.

 

* Carlo Giovanardi, senatore, ha riferito a suo tempo in Parlamento sul caso Ustica come ministro per i Rapporti con il Parlamento e sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Vincenzo Ruggero Manca, Generale di Squadra aerea, è stato come senatore vicepresidente della commissione Stragi nella XIII legislatura.

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