Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Campagna, Ambrogio Lorenzetti, 1337-1340

Gli ideologi del paesaggio sono i nemici della Toscana

Stefano Cinelli Colombini
Il Pit regionale prova a plasmare il territorio come fosse un fattore a sé stante, senza considerare chi ci abita. Un tentativo folle, datato e ideologico.

La surreale vicenda del Piano del territorio toscano porta a riflettere sui danni che un approccio ideologizzato può fare al territorio. L’Italia è un capolavoro creato dall'uomo, e a maggior ragione lo è la Toscana. Certo, esistono bellezze naturali da mozzare il fiato ma ciò che ci rende unici è il paesaggio antropizzato, arricchito da ville, casali, borghi e città. Ma queste bellezze avrebbero lo stesso fascino senza gli abitanti e il loro essere ciò che sono? Ovviamente no. Parafrasando l’apologo di Agrippa, l’Italia è un organismo di cui il paesaggio e l’ambiente sono la pelle, e chi ci abita è il corpo. Un corpo che esiste grazie all’economia. Ciascun pezzo senza gli altri non può vivere, ma quello che crea è l’intelletto. E cos’è l’intelletto del Belpaese? È la stratificazione di culture, storia, costume e vissuto di tante piccole e grandi comunità che non sono solo territoriali ma a volte si incarnano in arti, fedi o mestieri. Comunità che si sovrappongono, assorbono il nuovo e interagiscono mutando. È più della sola cultura, è identità. In questa chiave è ridicolo venerare ogni villa, ogni scorcio e ogni strada bianca, questi sono dettagli che inevitabilmente cambieranno. Teorizzare il paesaggio come fattore a sé stante regolato da un’ipotetica “storia del paesaggio” come ha fatto il Pit Toscano è puro onanismo intellettuale, il paesaggio non muta in funzione del suo passato o di un progetto regionale ma seguendo le necessità economiche e le aspirazioni degli abitanti. O magari il loro gusto, che è identità. E qui entra nel ragionamento il vino, che ha creato un circuito virtuoso proprio grazie all’identità; più un vino è identitario e meno può essere sostituito da altri, ma più è identitario e più è legato a uno specifico territorio. Più guadagna e più ha mezzi e interesse a difenderlo rendendolo bello ma soprattutto tipico, perché in ambienti devastati non si produce qualità e la tipicità fa vendere, mentre i capannoni industriali o l’estetica anonima no. Ma la qualità non basta, ci vuole unicità percepita (che è un frutto dell’identità) perché tutto ciò che non è unico si può delocalizzare o produrre altrove a costi minori. Dunque l’interesse privato legato all’identità non è un problema per il paesaggio, bensì la soluzione. Fa vivere i suoi abitanti e lo adegua di continuo ai tempi che mutano per essere competitivo, ma non ha convenienza a tradirne l’identità perché nel mondo globalizzato l’identità è diventata un vantaggio enorme. Così enorme che solo un idiota la rifiuta. Oppure un genio, e quelli servono perché aprono vie nuove. Gli errori, gli stupidi e la speculazione esistono per cui le regole servono, ma questo non giustifica follie ideologiche e antistoriche che vorrebbero congelare in eterno il paesaggio. È un approccio datato, e oltretutto inutile; nemmeno re Canuto riuscì a fermare la marea. Per evitare gli abusi servono poche e semplici regole, però applicate davvero. Le leggi pletoriche, letterarie ed ideologizzate sono inutili, sono così contorte da essere per forza contraddittorie e saranno demolite dai Tar e dalla loro connaturata inapplicabilità. La battaglia per il paesaggio si farà perché è una delle chiavi del nostro futuro, ma la si combatterà sul piano delle forze che creano il paesaggio; identità, comunità ed economia. Tutte cose che non si creano per decreto.
Stefano Cinelli Colombini